Libri di viaggio, libri che raccontano il mondo, storie di città o continenti al centro del quarto appuntamento con le nostre letture estive.
Siamo proprio figli dell’idealismo. Tanta attenzione alla storia e scarsissima considerazione per la geografia. E invece quanto ci determinano meridiani e paralleli, distanze e correnti marine, venti e deserti, foreste e montagne, fiumi e ghiacciai, città e vie di comunicazione? Nel tempo ci si sposta in un’unica direzione, quella della definitiva semplificazione, chiamiamola destino o entropia. Lo spazio è invece produttore di complicazioni, non conosce linee rette ma sinuosità, ritorni, deviazioni. Insomma peripezie e scoperte. Senza geografia, la storia non produrrebbe storie. O quantomeno non le storie di viaggio che tanto ci piacciono e che chiamiamo romanzo, memoir, epica, reportage.
La lontananza, sai…
Pensiamo solo a uno come Joseph Kessel. Un grande. Francese nato in Argentina e cresciuto in Russia, pilota militare nella prima e nella seconda guerra mondiale, autore di best seller dopo la guerra, dal suo Bella di giorno Luis Buñuel trasse uno dei suoi film più celebri. A lui dobbiamo essere grati anche per l’affascinante reportage Hong Kong e Macao. Città degli estremi (O barra O), che ci porta nell’estremo oriente del 1957 e ci seduce con contrasti intollerabili, ricchezze e miserie inimmaginabili, avventurieri di tutte le risme. Kessel ripercorre la storia dei luoghi e traccia i ritratti di personaggi straordinari come William Jardine, il principe del contrabbando di oppio, Aw Boon Haw, l’inventore del Balsamo di Tigre, Mr. Fu, il re del gioco di Macao. E però non dimentica i rifugiati cinesi, i conducenti di rickshaw, le operaie delle fabbriche di fuochi d’artificio e soprattutto i piccoli, onnipresenti, mendicanti. Il tutto a un passo dalla Cina di Mao.
E a proposito di Cina. Quanta storia e quanta geografia si nascondono nel nuovo libro di Xiaolu Guo, I nove continenti (Metropoli d’Asia)? Xiaolu Guo è una delle voci più interessanti della nuova letteratura cinese. Da alcuni anni si è trasferita a Londra e la sua prosa è un vero ponte letterario, culturale, mentale tra culture tanto diverse. Per questo I nove continenti è così profondamente coinvolgente. In questa autobiografia, che ha l’andamento del grande romanzo novecentesco, passano le diverse età della protagonista e insieme le diverse epoche della storia cinese e mondi e spazi e distanze inimmaginabili. Dal paesino di pescatori sul Mar della Cina in cui Xiaolu passa l’infanzia assieme alla nonna, bloccato in un tempo senza tempo, fatto di piccoli riti religiosi, scaramanzie quasi animistiche, mentre attorno impazza la Rivoluzione Culturale, alla Cina di oggi, in cui si è consumato un “grande balzo” che forse non era quello ipotizzato dal grande timoniere, fino al passaggio all’Occidente, all’Europa sorprendentemente definita “la terra dei nomadi”.
Cinquemila chilometri più a ovest e una ventina di anni prima e incappiamo nelle vicende di Zari, nobildonna di Shiraz, Persia. Non molti lo sanno, ma durante la Seconda Guerra Mondiale l’Iran venne “preventivamente” invaso dagli inglesi nel timore che il paese si schierasse con l’Asse (in Iraq era appena successo). La modernità arriva sotto forma di esercito d’occupazione e sconquassa gli equilibri sociali e familiari. I giovani scalpitano, scoprono, per contrasto, la forza del nazionalismo. Lo stesso Yusuf, pater familias e proprietario terriero giusto e generoso, si scopre oppositore degli inglesi e nemico della corruzione governativa. Zari non è d’accordo, Zari vuole che tutto resti com’era, vuole mantenere, a ogni costo, l’armonia di un mondo perfetto, almeno dentro le mura della sua bellissima casa. Zari è la complessa, affascinante protagonista di Suvashun, il romanzo con cui Simin Daneshvar ha fondato alla fine degli anni Sessanta la moderna letteratura persiana. In Italia è arrivato da pochi mesi grazie a Francesco Brioschi Editore.
Tutta mia la città
Per centootto anni Gillo Dorfles ha segnato la cultura italiana con la sua curiosità e creatività. In pratica, un secolo abbondante a testimoniare le vicende dell’arte, del design, dell’estetica. Centootto anni di incontri, dalla Trieste natale ancora austroungarica, alla Milano di tutta una vita e a un mondo percorso in lungo e in largo. L’America è senz’altro la terra d’elezione del Dorfles instancabile critico e promotore dell’arte contemporanea. Lì, tra New York e la West Coast, incontra i principali teorici dell’estetica, lì con istinto infallibile stringe rapporti con artisti e architetti che diventeranno cruciali negli anni a seguire. Sempre lui sarà il ponte per l’arrivo in Italia, alla Biennale di Venezia del 1948, di Peggy Guggenheim e della sua collezione di giovani artisti americani. Per questo La mia America (Skira), è una tentazione irresistibile per il lettore e viaggiatore amante dell’arte. Dentro c’è tutto quello che potremmo chiedere a un Dorfles giramondo: gli incontri con Cy Twombly e con Rudolph Arnheim, con György Kepes e gli action painters. Ma non mancano neppure pagine meravigliose dedicate – nel 1954 – all’”America tra Oriente e Occidente”. In questa lunga galoppata attraverso il continente, nulla sfugge all’occhio di Gillo, dalla monumentalità del Grand Canyon agli altri canyon, tutti umani, che corrono tra i grattaceli di New York, dalla specifica religiosità alle complicate dinamiche razziali dell’America profonda.
Ci sono libri che scoprono le città e ci sono libri che raccontano un rapporto straordinariamente intimo e confidenziale dell’autore con la sua città del cuore. È il caso della Napoli raccontata da Romana Petri in La luce del mare (CentoAutori), che non è la sua città – semmai lo sono Roma e Lisbona – ma è la città materna, la città sognata delle gite col padre, la città ricordata ed evocata, fatta di luce e di mare e di amori.
È anche il caso di Torre saracena (Manni), di Antonio Prete, in cui il grande critico letterario, esperto di Baudelaire, ci accompagna in un viaggio attraverso sua terra natia, il meraviglioso, magico Salento. Un po’ flâneur e un po’ guida turistica, Prete ci porta nelle case di Gallipoli e di Otranto, ci fa ballare la taranta e ci svela i segreti dei menhir (mica solo in Bretagna…), ci spinge fino alla punta della punta di Leuca e per le strade incantate di Lecce. E se qualcuno pensa che l’erudizione non possa sposarsi con l’amore, si faccia un giro tra queste pagine.
I venti, i monti, le coste…
E la natura? E quello scomodo ricettacolo di meraviglie perlopiù privo di aria condizionata e riscaldamento, acqua corrente e servizio in camera? La natura è sempre lì, pronta a ricordarci la sua terribile potenza. Provate a leggere Dove soffiano i venti selvaggi, di Nick Hunt (Neri Pozza) e capirete cosa intendiamo. Bora, Föhn, Mistral li conosciamo, lo Helm ci è meno familiare, ma lo conoscono bene gli abitanti di Scozia e nord dell’Inghilterra, come i Greci conoscono bene il Meltemi. Insomma, Hunt dedica un libro straordinariamente fascinoso ai venti che soffiano per l’Europa. Ne va a caccia, li stana, li accompagna, incontra gli uomini che con quei venti convivono, si fa raccontare storie, aneddoti e leggende, tracciando dei veri e propri itinerari di viaggio. Davvero eccitante, mettete la vostra K-Way e abbandonatevi alla lettura!
E se ai venti aggiungiamo la neve, tanta neve, e sotto la neve la roccia, e sopra la roccia e la neve, a ottomila metri, due italiani, due puntini blu nella terrificante magnificenza dell’Himalaya, allora avremo una grande impresa, la conquista del Gasherbrum IV, la vetta più tremenda di tutto il già tremendo Karakorum. È la storia che Walter Bonatti, uno dei due puntini sulla neve, racconta in La montagna scintillante (Solferino) straordinario romanzo di avventura perduto e ora ritrovato. Un inedito che arriva in libreria giusto a pochi giorni dal sessantesimo di quell’impresa. Bonatti infatti conquistò la vetta il 6 agosto del 1958 assieme a Carlo Mauri.
Direte che la geografia c’entra un po’ poco, ma è un libro talmente entusiasmante che lo segnaliamo lo stesso, e poi parla di uccelli di tutto il mondo e di ogni latitudine. Si tratta de Il genio degli uccelli, lo ha scritto Jennifer Ackerman (La nave di Teseo) e ci racconta tutto, ma proprio tutto sull’intelligenza, la capacità di adattamento, il carattere e il vero e proprio genio dei nostri amici alati. Altro che “cervello di gallina”, altro che “quella è un’oca”, altro che “povero pollo”, queste seicento pagine ci faranno guardare ad anatre e piccioni, struzzi e pivieri con tutt’altro rispetto e curiosità. Bello, scientificamente rigoroso e letterariamente una delizia.
“Odio i viaggi e i viaggiatori” diceva il grande Claude Lévi-Strauss. Siamo certi che, con tutto il rispetto, Luca Novelli non concorda. Divulgatore principe, Premio Andersen e Premio Legambiente per i suoi libri amatissimi in Italia e tradotti in 22 lingue, in questo Il ponte di Adamo (Francesco Brioschi Editore) si mette in viaggio per lo Sri Lanka, sulle orme di Marco Polo, alla ricerca delle origini dell’uomo moderno e del mito del paradiso terrestre. Adattissimo ai ragazzi, si fa leggere con piacere e costrutto dai lettori di ogni età. Molto, molto belle anche le illustrazioni di Federico Canobbio Codelli.