Luca Martera
Questo libro, documentato e ampiamente illustrato, racconta la vicenda appassionante, drammatica e piena di sorprese del film più censurato della storia del cinema italiano.
«Questa è la storia di un film. Più sorprendente del film stesso. Se non fosse una storia vera, ci sarebbe da premiare gli sceneggiatori con il Leone d’oro. E invece è una storia vera. Dalla prima all’ultima riga. Anzi, sequenza. È la storia di Harlem. Il film più censurato di tutti i tempi. Una storia mirabilmente ricostruita, con acribia di studioso e penna di narratore, ora appassionata, ora sarcastica, dallo storico e documentarista Luca Martera» - Giancarlo De Cataldo, Robinson
«Morte agli italiani!» è il grido di battaglia urlato a squarciagola dal capo dei tifosi abissini al Madison Square Garden ed è questa la battuta-chiave per comprendere il senso di ciò che fu "Harlem", il film italiano più censurato di sempre. Uscito alla fine di aprile del 1943 - due mesi prima dello sbarco degli alleati in Sicilia e tre mesi prima della caduta del fascismo - il film di Carmine Gallone fu una delle più plateali opere di mistificazione del regime fascista, pensata e realizzata quasi 80 anni fa per illustrare alle masse il "razzismo di Stato" e sancire così la superiorità della stirpe ariana attraverso un incontro di boxe tra un italo-americano e un pugile nero, trent'anni prima di Rocky. Interpretato dai divi più famosi dell'epoca, dal "buono" Amedeo Nazzari al "cattivo" Osvaldo Valenti, dall' "americanina" Vivi Gioi al "littorio" Massimo Girotti, e firmato da un incredibile (con la lente della distanza) plotone di giornalisti-intellettuali di prim'ordine, tra cui l'anti-americano Emilio Cecchi, il fascistone Paolo Monelli, l'ebreo Giacomo Debenedetti (che non poté comparire a causa delle leggi razziali), il direttore antisemita de «Il Littoriale» Pietro Petroselli e il futuro padre del neorealismo Sergio Amidei, Harlem fu l'ultimo kolossal in costume fortissimamente voluto da Luigi Freddi, fondatore di Cinecittà, gran sacerdote del culto censorio e figura sui generis di gerarca sopravvissuto miracolosamente al 25 luglio e al 25 aprile. Sequestrato nel 1944 dall'ebreo torinese Pilade Levi, capo della PWB Film Section della divisione degli alleati specializzata in comunicazione e propaganda, il film viene trasformato nel dopoguerra dalla neonata censura repubblicana in innocuo film sportivo, con tagli e modifiche ai dialoghi per quasi 40 minuti. La nuova versione, senza più alcun riferimento alla guerra d'Etiopia, non convinse comunque alcuni sedicenti partigiani di Reggio Emilia che nel 1947 bruciarono nella pubblica piazza le pizze del film.