Rodolfo Zucco
«Cominciando dal tuo accenno a una forma di postmoderno, devo dirti che non so davvero. Mia sorella ha detto che sono un dadaista; un altro amico mi ha parlato dei Found Poems. In realtà, all'inizio c'è stato l'incontro cori un paio di poesie che Toti Scialoja aveva ricavato dalla prosa di Leopardi e con gli Esercizi platonici di Pagliarani. Anni dopo (2003) ho lavorato su un poemetto di Volponi (Lettera 19): così mi è capitato di approfondire la storia di un modo di scrivere che Genette fa risalire a... Socrate! Vedi Versification, in Palimpsestes. Ma sono passati altri dieci anni prima che cominciassi a fare qualche tentativo mio, e quindi a montare alcuni dei miei "ritagli" in collages (niente di nuovo, anche questi). In ogni caso, non si tratta che di prendere alla lettera Zanzotto: Ma che cos'è la poesia se non un insieme di echi, di voci che restano nell'aria, o in noi? E noi, quasi senza accorgercene, le ripetiamo. Ma ripetendole con la nostra voce, in qualche maniera le cambiamo.» (Rodolfo Zucco a Francesco Rognoni, aprile 2015)