Gianfranco Palmery
Impure confessioni e pura musica: strofe di tre, quattro e cinque versi, e canzoni, sonetti, arie, odi, scherzi e variazioni - un manto rimodellato ma anche "strapazzato" di decoro classico per dire senza pudore, di sé, di un destino personale e generazionale, quella "generazione d'ombra" che sono i nati nel 1940 e stretti dintorni. Un libro nero, certamente, questo di Palmery, un "autoritratto con tenebre", come recita una sua poesia - tenebre del poeta e tenebre dei tempi; nero però quale si dà in pittura: il colore che comprende tutti i colori. Così la poesia di "Corpo di scena" ha in sè cupezza e lievità, pena e ironia, furia e tenerezza. E dunque è solo un apparente paradosso - si pensi a Dante, ma anche a Shakespeare o a Baudelaire concludere che è la musa comica, e tragicomica, grottesca, a levare qui più alta la sua voce. Vi è in questo "Corpo di scena" di Palmery, che è allo stesso tempo un corpo in scena, una teatralità di gesti e una pluralità di toni che ne fanno forse il suo più estremo e veritiero ritratto.