Massimo Morisi, Franca Tani
"Il gioco è un'attività tipicamente umana che, pur nel rispetto di regole, apre all'imprevisto, alla fantasia, alla creatività. Certo i significati che si sono aggregati intorno a questa parola fascinosa e a suo modo ambigua sono molteplici (mettersi in gioco, stare al gioco, la posta in gioco, il gioco della vita) e molti si riferiscono non tanto all'attività del giocare, ma a significati ulteriori di carattere psicologico, etico, filosofico. Il gioco è di per sé anche un'attività saltuaria, intermittente, non si può giocare sempre. Non a caso si dice che uno è un giocatore non perché gioca, ma gioca con determinate caratteristiche di continuità, quando quel particolare gioco diventa la sua professione, il suo lavoro: un lavoro appunto, o un'ossessione, non più un gioco. Nessuno dice di un ragazzo che gioca al pallone con altri coetanei che è un calciatore; o, se uno gioca a tennis con gli amici, che è un tennista. È da chiedersi allora come il gioco possa diventare una patologia comportamentale che genera e giustifica un forte allarme sociale, e una patologia che colpisce in modo significativo i nostri adolescenti. Il buon senso suggerisce che ciò avviene quando il gioco non serve più a giocare in senso ludico ma è lo strumento per un fine diverso, di carattere lucrativo, attraverso un meccanismo di tipo casuale e aleatorio che non mette in gioco, se non in parte, sovente minima, la bravura dell'operatore." (Dalla Prefazione del professar Ivano Paci)