Abbiamo intervistato il professor Gianni Oliva, storico e autore di Il caso Moro, edito dalle Edizioni del Capricorno
Nel suo nuovo libro Il caso Moro, appena pubblicato dalle Edizioni del Capricorno, lo storico del Novecento Gianni Oliva affronta la ricostruzione di una delle pagine più dure e controverse della storia della Repubblica.
A 40 anni dall’uccisione di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana rapito dalle Brigate Rosse nel 1978, Oliva ripercorre i 55 giorni del sequestro: dalla strage di via Fani il 16 marzo al ritrovamento del cadavere in via Caetani il 9 maggio. Un racconto costruito attraverso le risultanze dei processi e le ricostruzioni della magistratura, con un ultimo capitolo dedicato ai “misteri” del caso Moro e alle varie tesi complottiste che, tuttavia, rimangono senza alcun riscontro.
Non si tratta, però, dell’ennesimo libro sul Caso Moro, in cui si cerca di portare alla luce qualche verità sepolta non confermata. Il saggio di Oliva è un testo di pura divulgazione storica, dedicato a chi conosce il nome di Aldo Moro e il tragico epilogo della vicenda, ma non ha mai avuto l’occasione di approfondirne il contesto, ed è soprattutto rivolto a coloro che sono nati molti anni dopo i fatti, giovani studenti che per capire il presente devono necessariamente conoscere un passato non così distante.
Ricco di immagini d’archivio, Il caso Moro è un libro di storia rigoroso, ma dalla grande forza narrativa. Insieme a un altro saggio di Oliva uscito da poco sempre per le Edizioni del Capricorno, Torino. Anni di Piombo – 1973-1982, rappresenta un tentativo ripercorrere alcune delle vicende degli anni Settanta che hanno per sempre cambiato il volto del Paese.
Abbiamo avuto il piacere di incontrare Gianni Oliva per parlare del libro e dell’importanza del suo ruolo di storico.
Professor Oliva, cosa crede che sia rimasto, oggi, di quel periodo di conflitto? Pensa che ci sia sufficiente consapevolezza di fatti che, probabilmente, hanno cambiato il volto dell’Italia? Quale lezione ci deve insegnare questa storia?
Credo sia rimasta una memoria sbiadita perché in questo Paese la storia antica è più in onore di quella contemporanea. Bisognerebbe riformulare i programmi di storia nelle scuole, partire dalla Rivoluzione Francese e, per i periodi precedenti, limitarsi a quadri di insieme: solo così si potrebbe fare davvero la storia degli ultimi decenni, capire perché l’Italia si è così aggrovigliata su se stessa.
Quanto ha influito la sua diretta esperienza di quegli anni nello scrivere il libro? Ha cambiato qualcosa nel suo approccio di ricerca?
È la prima volta che scrivo di un periodo che ho vissuto: dal punto di vista della ricerca questo richiede maggior rigore, maggior sforzo per prendere le distanze dalla materia. Nel contempo, aver vissuto gli anni di piombo aiuta a capire l’atmosfera che si respirava, a cogliere dinamiche che altrimenti sarebbero difficili da rintracciare nei documenti. L’emozione di fronte al delitto Casalegno o al rapimento di Moro, ad esempio, sono un dato di memoria diretta, non di studio, e sono fondamentali per capire la frattura maturata tra il terrorismo e la società.
Spesso rigore accademico e divulgazione sembrano due entità separate, inconciliabili, ed è un peccato. Nei suoi libri, lei si pone a metà strada tra questi due atteggiamenti. Lo stesso Il caso Moro è, in un certo senso, dedicato a un pubblico giovane, di studenti che non erano ancora nati al tempo dei fatti. Da storico e giornalista, quanto crede che sia importante questo tipo di approccio nello scrivere saggistica, in un periodo in cui l’approfondimento delle fonti sembra aver perso importanza?
La ricerca deve sempre essere rigorosa, ma il ricercatore deve anche saper divulgare, altrimenti produce un sapere “interno” all’accademia. E’ un vizio italiano ritenere che i “veri” libri debbano avere in ogni pagina tre righe di testo e venti di note: nei Paesi anglosassoni ci sono autori che insegnano a Oxford e pubblicano libri venduti al supermercato. Ogni storico deve aver fatto ricerche specifiche, imparato a lavorare negli archivi e a confrontare le fonti: però deve anche essere in grado di fare sintesi di ampio respiro e di proporle in forma fruibile. Un libro di storia deve essere un libro da leggere per cultura e per piacere, un libro che inizi la sera, posi sul comodino e riprendi la sera dopo (come si fa con un romanzo): se è un volume che devi glossare, riassumere e studiare diventa un prodotto di nicchia, con il rischio che la divulgazione venga fatta dai giornalisti (attenti alla notizia e non al quadro di insieme).
Stasera (14 marzo, ore 24.00, Rai 1) Gianni Oliva sarà ospite di Bruno Vespa a Porta a porta.