Compie cento anni Vita e Pensiero, la più antica University Press italiana. Negli uffici dell’Università Cattolica, intervistiamo il direttore editoriale Aurelio Mottola
Che una casa editrice nasca dalla costola di una rivista non è una stravaganza. Lo si è visto più volte nel corso del ’900. Ma che una University Press nasca prima del suo ateneo di riferimento è davvero un unicum nella storia dell’editoria e in quella delle università. Eppure è proprio così che è andata.
Quando il 20 gennaio del 1918, Ludovico Necchi, Francesco Olgiati, Armida Barelli e Costanza Malcotti si costituiscono soci della Società Editrice Vita e Pensiero nominando “arbitro” padre Agostino Gemelli, la rivista omonima è già attiva da quattro anni. In compenso l’Università Cattolica del Sacro Cuore nascerà solo nel 1920.
Casa editrice cattolica e accademica dunque. Ma il titolo d’esordio sembra smentire ogni luogo comune e ogni aspettativa, invece che con santi e padri della chiesa, con piglio insieme dialettico e divulgativo, don Francesco Olgiati si cimenta con il campione del materialismo, Carlo Marx.
“È il primo atto di un’avventura editoriale che della dialettica tra confessionalità e laicità, ricerca e divulgazione farà, per gran parte della sua storia, la cifra caratterizzante – spiega Aurelio Mottola, direttore editoriale di Vita e Pensiero – e che a oggi si sostanzia in più di seimilacinquecento titoli pubblicati, ospitati da più di trecento collane, in quaranta periodici succedutisi nei decenni, e in un catalogo delle disponibilità attuali di circa 800 titoli”.
Un centenario non rituale
Per festeggiare i suoi primi cent’anni di vita, la casa editrice si è certo affidata a uno strumento tradizionale come il catalogo storico, Vita e Pensiero: cento anni di editoria, più di mille pagine per le cure di Roberto Cicala, Mirella Ferrari, Paola Sverzellati. Ma soprattutto ha puntato su una serie di eventi di notevole varietà e interesse e sulla pubblicazione del fondamentale saggio di Maryanne Wolf Lettore, vieni a casa, prosecuzione del fortunato Proust e il calamaro, che nel 2012 ha portato alla ribalta l’applicazione dei risultati delle neuroscienze all’attività del cervello umano impegnato nella lettura.
“Con Lettore, vieni a casa, Maryanne Wolf fa un passo ulteriore, prendendo di petto il grande cambiamento in corso col passaggio dalla lettura analogica, su carta, a quella digitale. Il libro di Wolf non è solo un passo avanti nello studio del cervello e della lettura, ma a tutti gli effetti un atto politico. Wolf denuncia dalle sue pagine le pericolose conseguenze dell’abbandono della lettura analogica e i rischi di una digitalizzazione della lettura fin dall’infanzia. La drammatica perdita di competenze raffinate e profonde, come la capacità di gestire e assimilare testi lunghi e complessi, potrà avere conseguenze gravi anche e proprio sulla nostra vita civile e democratica”.
Maryanne Wolf è stata protagonista, assieme ad altri tre autori di punta del catalogo di Vita e Pensiero: Miguel Benasayag, Pablo d’Ors e Carlo Ossola, di una giornata di studi che ha avuto luogo nell’aula magna dell’Università Cattolica l’8 di ottobre. Da lì ha preso l’avvio un’intensa attività di incontri e dibattiti che, sotto il significativo titolo di “Viva il lettore” si è svolta in diverse sedi milanesi lungo tutto l’arco del mese di ottobre e parte di novembre. La rassegna si concluderà domenica 18 novembre al teatro Franco Parenti, nell’ambito di Bookcity, con la lectio magistralis dello scrittore e storico della lettura Alberto Manguel.
“Ai diversi appuntamenti hanno partecipato intellettuali delle più diverse provenienze e inclinazioni, che si sono spesso ritrovati impegnati in discussioni per nulla rituali, di fronte a un pubblico attento ed esigente quanto numeroso. Si pensi a incontri come quelli che hanno visto protagoniste le coppie Massimo Cacciari e Josep Mara Esquirol o Enzo Bianchi e Piero Boitani. Un modo meno rituale di celebrare il centenario”.
Libri religiosi, libri accademici, libri per tutti
Vita e Pensiero è a tutti gli effetti una casa editrice universitaria e cattolica. Due qualificazioni che, diciamocelo, quasi mai abbiniamo a un concetto di apertura e confronto. Da ormai un paio di decenni molto del mondo accademico si è rinserrato nelle mura ben protette dell’università, e il mondo cattolico, per motivi anche storici ben noti, ha vissuto a lungo una sua separatezza dal più ampio dibattito culturale. Una separatezza che in entrambi i casi finisce con l’avere concreta evidenza persino nel mercato librario.
“Sotto il profilo distintamente editoriale, mi verrebbe da dire di brand – risponde Mottola – per anni abbiamo dovuto senz’altro pagare il pesante dazio delle appartenenze universitaria e confessionale. Nella relazione col mercato, con i librai, la comunicazione procede per etichette, è un modo per semplificarsi la vita e sopravvivere a un flusso quasi ingestibile di informazioni. Il risultato però è che noi di etichette ce ne siamo trovate appiccicate ben due. Come casa editrice universitaria, quindi, a dar retta alle etichette non potevamo che pubblicare testi circoscritti agli specialisti o di puro studio. In compenso, la connotazione confessionale portava con sé l’idea di chiusura al dibattito pubblico, di confronto solo interno, l’idea in fondo di un’autoesclusione dal flusso della viva cultura secolare. Tutto questo ovviamente non teneva conto delle caratteristiche di apertura della casa editrice, accentuatesi in tutta evidenza negli ultimi quindici anni a seguito di un profondo lavoro di svecchiamento, ma in realtà fedeli a una tradizione che risale alle origini della nostra storia.
Svecchiare un marchio editoriale è un’operazione necessaria ma molto complicata e molto lenta, ci sono consuetudini da rispettare, cose buone che rischiano di essere sacrificate. La celebrazione del centenario ha voluto rendere giustizia sia al lavoro fatto, sia alla storia che gli sta dietro e segnare un punto di partenza per i prossimi traguardi”.
Eppure il peso di questa lunga storia sembra evidente.
“Certo, abbiamo voluto partire dall’intuizione delle origini, dal principio che poi dà forma al seguito della storia, dall’arché. Questa sì è un’operazione interessante e utile a tutti. In fondo, il primo libro pubblicato da Vita e Pensiero è il Carlo Marx di Olgiati, uno dei fondatori, e testimonia una curiosità, un’attenzione all’altro da sé che raramente viene da accostare alla doppia vocazione di una casa editrice come la nostra. Ma c’è di più, e sta nella forza di una sfida quasi impossibile: l’avvio di Vita e Pensiero è in realtà un gesto illuministico, sta tutto nella fiducia un po’ ingenua nella forza delle idee e nella possibilità di futuro. Questa casa editrice nasce in piena Prima Guerra Mondiale, in un mondo in macerie, in un contesto di scarsità di risorse e di marcata povertà intellettuale e politica del cattolicesimo coevo.
E questa sfida si conferma negli anni grazie a Padre Gemelli. Era una persona di straordinaria curiosità, fu il primo a introdurre la psicologia in università quando il mondo accademico, anche il più laico, ancora guardava con sospetto a questa nuova disciplina. E questa curiosità padre Gemelli sapeva accompagnarla con una formidabile sapienza gestionale e istituzionale, senza le quali un’impresa come quella di dar vita all’Università Cattolica sarebbe naufragata subito sotto il peso di difficoltà di tutti i tipi. Invece l’università si fa, nel 1921, e nell’arco di venticinque anni diventa il crogiolo della classe dirigente che ricostruirà l’Italia nel dopoguerra. C’è un aneddoto illuminante. Nel 1934 Amintore Fanfani pubblica con Vita e Pensiero il saggio Cattolicesmo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo. Don Sturzo è talmente entusiasta della prova del giovane politologo che ne caldeggia un’edizione americana. Quel libro risulterà cruciale nella decisione di John Fitzgerald Kennedy di scendere in politica, e sarà proprio il futuro presidente americano a riconoscere il suo debito ringraziando pubblicamente Fanfani nel corso della convention democratica del 1956”.
Un’eredità da amministrare
E nell’oggi, una così illustre e pesante eredità come si declina?
“Cerchiamo di declinare questa intuizione originaria proprio interrogando l’oggi. Certi temi che alla cultura laica sfuggono finché non si presentano in piena luce, noi qualche volta li vediamo prima. Perché da un lato parliamo con filosofi, scienziati, ricercatori di tutte le scuole e di tutti gli indirizzi e dall’altro abbiamo anche il confronto con il mondo cattolico, che è molto più variegato, differenziato, dialettico e a volte conflittuale di quanto non si pensi. Alla fine non è un caso se una delle culle del ’68 è stata la Cattolica, non è un caso se l’attenzione al terzo mondo e perfino ai movimenti di liberazione parte dall’ambito cattolico, così come non è un caso se la riflessione sui mass media e le dinamiche della comunicazione nasce prima che altrove in Cattolica e nella casa editrice a essa collegata”.
Da qui anche l’attenzione alla civiltà digitale?
“Certo. Perché parlare del lettore nella civiltà digitale? Perché la mutazione antropologica in atto richiede un occhio attento per essere colta. La logica del digitale porta a un modo di stare nella società e nel confronto con il prossimo che è quello del rispecchiamento. Ossia, nel prossimo la civiltà digitale cerca solo riconoscimento e riconferma. Il che è la morte del confronto con il diverso, la chiusura in piccoli ambiti identitari. Noi invece cerchiamo di essere una casa editrice ospitale, perché veniamo da una matrice culturale ospitale. Non pubblichiamo solo autori cattolici: Byung-Chul Han non è certamente religioso, Benasayag è ebreo, e neppure lui particolarmente religioso. Ma entrambi hanno una comunità di interessi che fa sì che possano stare benissimo nel perimetro del nostro intervento. Se non si confronta e non ospita il pensiero dell’altro un’identità muore. La fecondità di una linea editoriale è garantita da questa contaminazione con il diverso”.
Sbagliamo se intravediamo una predilezione per testi che riportino la dialettica tra ricerca e divulgazione direttamente al proprio interno? E tutto questo è riconosciuto dal “mercato”?
“Noi certo dobbiamo onorare anche la nostra natura di casa editrice universitaria. Ma abbiamo deciso di farlo ispirandoci alle grandi University Press anglosassoni, che a fianco delle pubblicazioni accademiche e alla manualistica di studio, riescono a produrre anche linee di libri di varia, saggistica non specialistica ma rivolta a un pubblico colto e trasversale. Questa impostazione sta portando i suoi frutti, in questi anni Vita e Pensiero è significativamente cresciuta fuori dal circuito universitario e fuori dal circuito cattolico, affermandosi come un’importante sigla di saggistica anche nelle librerie e nelle catene di varia”.
E come si declina oggi la vocazione cattolica?A lungo la cultura cattolica e l’editoria che la esprime hanno viaggiato proprio attraverso circuiti separati, reti di informazione, librerie, organizzazioni culturali a sé.
“Anche in questo Vita e Pensiero gode di uno statuto diverso da altre case editrici cattoliche. Fin dall’inizio, ovviamente, si è caratterizzata per un’importante produzione di libri religiosi e di uso ecclesiastico, ma da subito affiancati da libri non direttamente confessionali. Diciamo che la nostra laicità è cristianamente indirizzata, ma pur sempre di laicità parliamo. È poi vero che l’editoria cattolica nel suo complesso ha goduto a lungo di una comfort zone rappresentata dai suoi circuiti, che permettevano da un lato di evitare confronti faticosi e destabilizzanti e dall’altro di appoggiarsi a un mercato tranquillo, poco propenso alla concorrenza. Il fatto è che da qualche anno quei circuiti sono venuti meno. Secondo me però la crisi dell’editoria cattolica è prima di tutto una crisi di cultura e solo in seconda istanza di mercato. Se pensiamo alla vivacità della cultura cattolica degli anni cinquanta e la confrontiamo con quel che è venuto dopo ce ne rendiamo conto. Quella cultura era l’incubatrice del Vaticano secondo, e di un pezzo non secondario del ‘68. Poi questi mondi si sono ripiegati su se stessi. E qui torniamo all’intuizione originaria di padre Gemelli, prima dell’istituzione ci vogliono le idee.
E allora dobbiamo interrogarci sulla cultura cattolica e la sua vitalità, la sua capacità di incrociare il presente. Il cattolicesimo deve tornare a esibire la propria capacità di lettura della contemporaneità. Deve in qualche modo riapprendere la fiducia nella forza della ragione. Con la certezza di non esaurire la verità, secondo un approccio che interroga, che dà risposte, ma risposte aperte”.
Un futuro insieme analogico e digitale
Quale futuro si prospetta per Vita e Pensiero? A quale futuro state lavorando?
“Ovviamente vogliamo dare pieno sviluppo alla linea di cui abbiamo appena parlato. E a fianco di questa linea, sono convinto che dovremo prendere atto del fatto che il mestiere dell’editore sta cambiando, il suo campo di azione si va dilatando. Non solo, quindi, pubblicare libri importanti, necessari, anticipatori, non solo anche agire su tutti i canali, compresi certo quelli messici a disposizione dalle nuove tecnologie, ma propiziare le condizioni perché i libri siano letti, andando a cercare, evocare, formare il nuovo pubblico. Ossia proporre eventi, incontri fisici che fisicamente mettano in contatto i lettori con gli scrittori, con i libri e con gli altri lettori. In questo, un editore come Laterza ha segnato alcune strade interessanti, sia con i presidi del libro sia con alcuni festival tematici e itineranti. D’altra parte i festival letterari hanno caratterizzato in maniera importante l’animazione culturale degli ultimi decenni in Italia. È la forma testimoniale della trasmissione della cultura, che oltre che nei festival andrebbe recuperata nella scuola, ripartendo dalla formazione degli insegnanti, che è da sempre un altro ambito di intervento cruciale di Vita e Pensiero e della Cattolica. Lì vanno a parare tutti i nostri ragionamenti. E su questo il libro della Wolf è paradigmaticamente acuto e ci mette davanti ad alcune domande fondamentali. Come operano gli insegnanti, che tipo di sapere trasmettono, come possiamo combattere il profilo sempre più marcatamente burocratico che vanno assumendo la scuola e l’università? Prima di qualunque logos il ragazzo coglie la dimensione affettiva nell’insegnante. Il che significa che se non si coltiva una erotica del sapere, come dice lo psicoanalista Massimo Recalcati, la lettura sarà sempre più vissuta come inutile, noiosa, col risultato di crescere una classe dirigente che non legge, che non coltiva empatia, che non guarda al mondo pur incidendo sul mondo”.
Ma il processo di digitalizzazione sembra francamente inarrestabile.
“Non penso sia realistico né utile opporsi alla digitalizzazione, ma abbiamo il dovere di governarla. Lo sforzo di educatori e operatori culturali sarà di accompagnare la formazione di quello che Maryanne Wolf definisce bi-literate brain, un cervello capace di lavorare sia in digitale che in analogico, dove però l’analogico precede il digitale. Questo è un fronte su cui gli editori sono chiamati a lavorare in prima persona, assieme alle istituzioni. E aver rilanciato questo dibattito con la Wolf sarà il lascito più importante di tutte le celebrazioni del centenario”.
Quale sarà il titolo simbolo tra quelli che inaugurano il secondo secolo di vita di Vita e Pensiero?
“Un libro che darà il segno del nuovo e ci accompagnerà a lungo sarà senza dubbio il nuovo Benasayag Funzionare o esistere?. Ricchissimo di riferimenti autobiografici, parte da una serie di domande che tutti noi, come educatori, come genitori, come cittadini, come politici, dobbiamo porci davanti alle nuove generazioni: cosa vorremmo che fossero i nostri figli? Li vogliamo performanti o consapevoli? Li vogliamo addomesticati o critici? Li vogliamo tesi ai soldi o alla libertà?. C’è in questo libro lucido e appassionato l’idea di un forte discrimine, della necessità di opporsi al progetto di una società omologata che richiede macchine e non esseri umani”.