Grazie a Neri Pozza, il romanzo di Margaret Mitchell torna il libreria in edizione integrale, con una nuova traduzione
Sulla copertina della nuova edizione di Via col vento, romanzo di culto di Margaret Mitchell, appena ripubblicato da Neri Pozza, c’è Vivien Leigh. Bellissima, in uno dei vaporosi vestiti di scena realizzati dal costumista Walter Plunkett. Nello scatto è ritratta da Clarence Sinclair Bull, fotografo della Golden Age hollywoodiana, famoso per le fotografie a Greta Garbo.
Poche copertine sono capaci di sintetizzare in modo tanto accurato il valore culturale di un’opera in un’unica immagine. Perché è impossibile pensare a Via col vento senza che vengano in mente gli occhi verdi e profondi di Leigh, il mezzo sorriso di Clark Gable, i costumi di Plunkett, le sfarzose scenografie di Lyle R. Wheeler, le musiche di Max Steiner e una manciata di battute iconiche della pellicola di Victor Fleming.
Romanzo e film sono diventati subito indissolubili nell’immaginario di chiunque, tanto da rendere impossibile figurarsi altri volti per personaggi come Rossella e Rhett. Eppure, la forza intramontabile di Via col vento non sta solo in quei volti di grandi divi, nelle ottime interpretazioni o nella grandiosa messa in scena, ma soprattutto nella caratterizzazione dei suoi personaggi. Personaggi usciti dall’immaginazione di una grande scrittrice, Margaret Mitchell.
È proprio il suo talento letterario che questo volume di Neri Pozza vuole omaggiare, ripristinando la versione originale del romanzo. Lo fa attraverso la nuova traduzione di Annamaria Biavasco e Valentina Guani, volta ad adattare il testo con estremo rigore filologico e, allo stesso tempo, aggiornare il linguaggio – talvolta problematico – della traduzione italiana del 1937, che fu vittima dell’autarchia linguistica imposta dal fascismo.
Via col vento è Margaret Mitchell
«Via col vento romanzo è un magnifico one-woman-show», scrive Mariarosa Mancuso nell’introduzione dell’edizione di Neri Pozza. Si riferisce certamente all’anticonvenzionale eroina del libro, ma soprattutto all’autrice che le ha dato forma.
L’intera vita di Margaret Mitchell, le esperienze formative, le persone che ha incontrato, sembrano aver trovato posto in questo grande affresco storico del Sud degli Stati Uniti.
Nata l’8 novembre 1900 ad Atlanta, 35 anni dopo la fine della Guerra Civile americana, Margaret Mitchell cresce in una famiglia di narratori.
Le storie dettagliatissime, raccontate a Margaret da parenti e amici di famiglia, sono quelle da loro vissute in tempo di guerra. Il punto di vista, naturalmente, quello sudista. È Mitchell stessa a rivelare, in un’intervista all’Atlanta Journal del 1936, di aver appreso della sconfitta dei Confederati solo a dieci anni.
Questi racconti di guerra funzionano per Margaret come una sorta di imprinting. La ragazza sente presto bisogno di raccontare altre storie, le proprie storie. Così, scrive numerose opere teatrali durante tutta l’adolescenza.
A diciotto anni si iscrive allo Smith College di Northampton per frequentare medicina. Purtroppo, un anno più tardi è costretta a interrompere gli studi e tornare ad Atlanta a causa della morte della madre, la suffragista Maybelle Stephens, il cui attivismo è stato sempre fonte di ispirazione per Mitchell, in particolare nella creazione dei suoi personaggi femminili.
Così, nel 1922 inizia a lavorare come giornalista all’Atlanta Journal Sunday Magazine con lo pseudonimo di Peggy Mitchell. Nello stesso anno, sposa Berrien Kinnard Upshaw, un uomo attraente, ma violento e instabile, considerato da molti il prototipo per Rhett Butler. Fortunatamente, il matrimonio finisce dopo tre mesi, dando la possibilità a Mitchell di ricominciare da capo.
Nel 1925 sposa Robert Marsh e si trasferisce in un piccolo appartamento di un complesso residenziale di tre piani di Atlanta, che la scrittrice soprannomina affettuosamente “The Dump” (e che oggi ospita il Margaret Mitchell House and Museum). L’anno dopo lascia il lavoro, costretta a casa per un infortunio alla caviglia.
Pare che il marito, provato dal carico di libri che trasportava dalla biblioteca a casa durante la convalescenza della moglie, abbia detto: «Per l’amor del cielo, Peggy, non puoi scrivere un libro invece di leggerne migliaia?». Margaret, su una Remington n. 3 portatile, inizia così a scrivere il libro che la renderà immortale. Il suo unico romanzo: Via col vento.
In principio fu Pansy O’Hara
Via col vento è frutto di lavoro di dieci anni. Dieci anni di ricerca delle fonti, ricostruzione del periodo storico, di nuove stesure. Ma secondo Mitchell quell’imponente manoscritto con protagonista una certa Pansy O’Hara, di cui usa parti per sostenere un divano traballante, è lungi dall’essere finito.
Nel 1935 Harold Latham, caporedattore dell’editore Macmillan, arriva a Atlanta in cerca di manoscritti e convince Margaret a fargli leggere le pagine a disposizione. Lei le consegna in buste separate e disordinate e, nonostante questo, Latham legge i primi capitoli compulsivamente.
Tuttavia, è Lois Dwight Cole una delle maggiori responsabili del successo editoriale del romanzo. Amica di Mitchell, editor della Macmillan, è la prima a leggere integralmente Via col vento. È a lei che Latham invia le buste contenenti il manoscritto, lei che lo rimette insieme, trascorre giorni e notti a ricostruire la narrazione e compilare l’accurata scheda di valutazione che convince l’editore a mettere sotto contratto Mitchell. Il resto è storia.
Pansy O’Hara diventa Scarlett, il libro viene pubblicato nel 1936 e vende un milione di copie in sei mesi. Mitchell diventa una celebrità, con tanto di fan che arrivano in pellegrinaggio alla sua porta, e nel 1937 riceve il Premio Pulitzer per la narrativa.
Pochi mesi dopo, la casa di produzione di David O. Selznick acquista i diritti della trasposizione cinematografica per 50.000 dollari (una fortuna, all’epoca!) e si appresta a mettere in piedi una gigantesca produzione hollywoodiana.
Questa è la vecchia Hollywood
La lavorazione, tuttavia, è travagliata. Mitchell rinuncia a collaborare alla stesura della sceneggiatura, che viene scritta da Sidney Howard, ma rimaneggiata più volte per ridurre la lunghezza. Il regista George Cukor viene licenziato poco dopo l’inizio delle riprese per i capricci di Clark Gable e sostituito da Victor Fleming. E per un breve periodo, lo stesso Fleming è costretto ad allontanarsi dal set a causa di un esaurimento nervoso, sostituito da Sam Wood. Insomma, una tipica produzione della vecchia Hollywood.
Via col vento viene proiettato in anteprima ad Atlanta il 15 dicembre 1939 e l’anno dopo si aggiudica otto Premi Oscar, tra cui miglior film, miglior regista, migliore sceneggiatura non originale. Vivien Leigh vince come miglior attrice protagonista, mentre Hattie McDaniel come non protagonista.
McDaniel, per il ruolo di Mammy, è la prima attrice afroamericana a vincere un Oscar. Tuttavia l’attrice – che non aveva potuto nemmeno partecipare alla prima del film a causa delle leggi sulla segregazione razziale – è costretta ad assistere alla cerimonia da un tavolo isolato in un angolo della grande sala dell’Hotel Ambassador, separata dal resto del cast. Questa è la vecchia Hollywood. Questa è l’America, direbbe oggi Childish Gambino.
Ma, naturalmente, ogni opera è figlia dei suoi tempi. Per quanto questo racconto nostalgico del vecchio Sud appaia indubbiamente anacronistico e problematico, così come lo è il contesto storico che lo ha prodotto, rappresenta un importante documento per comprendere il passato di un paese complesso, che si nutre di contraddizioni.
Perché, per dirlo con le parole di Margaret Mitchell: «Il mio romanzo racconta la storia di una ragazza di nome Scarlett O’Hara, che visse ad Atlanta durante la Guerra Civile e nei giorni della ricostruzione. Non è strettamente un libro sulla guerra, né un romanzo storico. Riguarda l’effetto che la Guerra Civile ebbe su una serie di personaggi che vivevano ad Atlanta in quel momento».
Margaret Mitchell non scriverà più niente dopo Via col vento. Non sappiamo se sia stata spaventata dal mostruoso successo o se, semplicemente, abbia esaurito se stessa nella stesura del libro della vita. Nel testamento, redatto prima di morire a causa di un incidente stradale nel 1949, chiederà agli eredi di distruggere tutti i suoi scritti non pubblicati.
Ritradurre Via col vento
Abbiamo pensato che, per capire Via col vento, fosse necessario conoscere le circostanze che hanno reso il libro di Margaret Mitchell uno dei più eclatanti casi editoriali al mondo, Italia compresa.
L’edizione italiana tradotta da Ada Salvatore e Enrico Piceni, infatti, risale al 1937 ed ha continuato a essere ristampata per anni, con piccole modifiche qua e là. Vittima dell’autarchia linguistica imposta dal fascismo, che imponeva persino la traduzione dei nomi propri, è stata inoltre sfrondata e ridotta per esigenze editoriali.
Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un testo figlio del proprio tempo, con la differenza che nell’adattamento dall’inglese alla nostra lingua, molti termini usati per descrivere gli schiavi neri – sia quelli connotati negativamente che quelli neutri – sono stati resi in italiano esclusivamente con la n-word (che in italiano ricorre ben 469, contro 104 volte della versione originale). Inoltre, per le stesse ragioni, nell’edizione del 1937 anche la resa della parlata degli schiavi risulta offensiva e grottesca.
Naturalmente, lo stesso discorso vale per l’adattamento e il doppiaggio del film, quello del 1951 che continua ad andare in onda sulla tv lineare, ogni Natale. Purtroppo, l’adattamento in italiano realizzato nel 1977, più accurato filologicamente e meno discriminatorio, non ebbe il successo sperato. Forse i tempi non erano maturi e il tema della discriminazione razziale meno sentito rispetto a oggi. Qui potete ascoltare i due doppiaggi a confronto.
Va da sé che ora, nel 2020, sarebbe impensabile avvicinarsi al romanzo attraverso la traduzione problematica e agée del 1937. In un’interessantissima introduzione al volume Neri Pozza, Annamaria Biavasco e Valentina Guani raccontato la loro avventura nel tradurre un romanzo tanto iconico. Partite dall’idea di ascoltare i tanti appassionati di Via col vento, in grado di citare interi stralci a memoria, dopo attente riflessioni e un lavoro rigoroso sulla lingua hanno «deciso di cambiare tutto». Rischioso, certo, ma necessario.
Rossella torna a essere Scarlett, ai personaggi di origine africana viene restituita dignità linguistica (il famoso «Sì, badrona», ad esempio, diventa semplicemente «Sissignora») e viene ripristinata anche l’ironia di Margaret Mitchell, prima considerata intraducibile.
Con questa edizione di Via col vento, Biavasco, Guani e l’editore Neri Pozza hanno indubbiamente fatto un ottimo lavoro per rendere accessibile ai lettori di oggi una storia che, volenti o nolenti, ha messo radici nel nostro immaginario collettivo. Per leggerla e, soprattutto, rileggerla come se fosse la prima volta.