Arriva in libreria un volume illustrato dedicato all’attivista e biologa keniota Wangari Maathai, Premio Nobel per la Pace. Ecco alcune tavole
C’era una volta una bambina di nome Wangari. Viveva in un paese avvolto da un manto verde, fatto di ulivi, piante di croton e alberi di fico considerati sacri. Una volta cresciuta, lasciò quel paese rigoglioso. Al suo ritorno, lo trovò trasformato in un deserto. I letti dei fiumi un tempo popolati dai pesci erano prosciugati, gli abitanti malnutriti, gli alberi di fico recisi. E decise che doveva fare qualcosa.
È Wangari Maathai – attivista, biologa e premio Nobel per la Pace nel 2004 – La donna che amava gli alberi a cui la scrittrice e illustratrice Claire Nivola, figlia dello scultore sardo Costantino Nivola, dedica uno straordinario volume per bambini dai 7 anni in su, appena pubblicato da Jaca Book.
Prima donna dell’Africa-centro orientale ad aver ottenuto una laurea e un dottorato, prima donna africana ad aver ricevuto un Premio Nobel, Maathai dedicò la vita alla lotta per la salvaguardia degli ecosistemi del Kenya e l’emancipazione femminile.
Fu lei a fondare il Green Belt Movement, movimento ecofemminista volto ad aumentare la consapevolezza dei kenioti e delle keniote sulla conservazione ambientale e sui diritti delle donne. L’organizzazione, formata da donne provenienti da contesti rurali, nacque allo scopo di insegnare a piantare alberi di origine indigena, per combattere la deforestazione, la desertificazione e la povertà della popolazione, dovuta all’aumento di colture estensive destinate al commercio.
Può un gesto così semplice come quello di piantare un albero fare la differenza? E come possiamo spiegarlo ai ragazzi?
La donna che amava gli alberi
La donna che amava gli alberi racconta la storia di Wangari Maathai e del Green Belt Movement come se fosse una fiaba. Una fiaba senza principi o principesse, senza magici aiutanti né mostri, orchi o streghe, ma con antagonisti altrettanto spaventosi, anche se estremamente reali.
Nivola, nel ripercorrere vita e attivismo di Wangari Maathai, trova una modalità semplice e diretta per parlare ai più piccoli del prezzo del capitalismo coloniale e post-coloniale. Allo stesso tempo, attraverso un racconto potente, fatto di parole scelte con cura e immagini evocative, punta a sensibilizzare i bambini sulla questione ambientale, mostrando come anche i piccoli gesti possano fare la differenza.
Nelle sue pagine riccamente illustrate, traboccanti di dettagli e colori brillanti, Claire Nivola ci racconta la storia di un popolo derubato della propria identità, ma anche quella di un’idea potente, portatrice di speranza.
La donna che amava gli alberi inizia, così, dai ricordi di infanzia di Maathai. Nata nel 1940, figlia di un contadino e appartenente alla comunità Kikuyu – il gruppo etnico più popoloso del Kenya, caratterizzato da un legame sacro con la terra e la natura – cresce negli Altopiani Centrali, una zona collinare in cui si erano stanziati gli europei a partire dal XIX secolo. I coloni stranieri avevano strappato ai Kikuyu le terre migliori, e ora li utilizzavano per la manodopera, lasciando loro solo qualche piccolo appezzamento per il sostentamento.
Nonostante questo, il paese che Maathai lascia nel 1960 è fertile e rigoglioso. Quello che trova al suo ritorno, nel 1966, è arido e non più in grado di fornire cibo per tutti. Il Kenya è indipendente dalla Gran Bretagna dal 1963, ma gli effetti del post-colonialismo non tardano a farsi sentire.
Le piccole fattorie sono scomparse, gli alberi sono stati tagliati per far spazio alle grandi coltivazioni commerciali. È allora che Maathai capisce quanto sia necessario guardare indietro per andare avanti, ricollegarsi alla tradizione, riconnettersi alla terra e insegnare di nuovo alle donne, poi ai bambini, persino ai militari, a prendersi cura degli alberi.
«Ho sempre saputo che il nostro lavoro non consisteva soltanto nel piantare alberi. Si trattava di ispirare la popolazione a prendere consapevolezza del proprio ambiente, dei programmi governativi, delle loro vite e del proprio futuro» dice Wangari Maathai.
Chi era Wangari Maathai
Scienziata e attivista, Wangari Maathai ha sempre combattuto le proprie battaglie con gesti pacifici, ma radicali.
Figlia femmina di un agricoltore degli anni ‘40, lotta per assicurarsi un’istruzione. Grazie al programma “Ponte aereo Kennedy” destinato agli studenti meritevoli, si laurea in biologia presso l’Università di Pittsburgh.
Lotta anche per completare il suo dottorato. Torna in Kenya dopo la specializzazione nel 1966, con la nomina per un posto di assistente di ricerca in zoologia presso l’University College di Nairobi. Tuttavia, scopre di essere stata sostituita da uno studente maschio, non ancora laureato, di etnia diversa dalla sua.
Ma non si arrende. Completa il suo dottorato presso le Università di Giessen e di Monaco nel 1971, diventa docente di Anatomia Veterinaria all’Università di Nairobi nel 1975, preside del dipartimento nel 1976 e professoressa associata nel 1977. È la prima donna a raggiungere queste posizioni.
Wangari Maathai lotta, sì, e non solo per se stessa. Porta avanti battaglie contro le discriminazioni salariali di genere, diventa membro della Croce Rossa, del Consiglio nazionale delle donne del Kenya e dell’Environmental Liaison Centre, che promuove la partecipazione delle organizzazioni non governative al Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente.
Il Green Belt Movement
Nel 1977, nel tentativo di dare forma all’idea di una coltivazione sostenibile “basata sulla comunità”, fonda il già citato Green Belt Movement. Si tratta, di fatto, di un movimento ecofemminista che vede nell’atto di piantare alberi una forma di azione radicale contro i sistemi che creano povertà rurale. Allo stesso tempo, rappresenta una soluzione a un problema molto concreto. In dieci anni, l’organizzazione si espande: dal Kenya arriva fino in Tanzania, Uganda, Malawi, Lesotho, Etiopia e Zimbabwe.
E Maathai continua a lottare, questa volta contro le politiche ambientali del regime di Daniel Arap Moi. Nel 1989, contesta il progetto per la costruzione di un edificio di sessantadue piani nel Parco Uhuru a Nairobi, la capitale del paese. Come ritorsione, il Green Belt Movement viene sfrattato dalla sua sede, mentre Maathai, temendo per la propria sicurezza, continua a cambiare residenza. Il grattacielo, tuttavia, non verrà mai costruito.
Il 1999 è invece l’anno della protesta contro il piano del governo di svendere parti della Karura Forest. Maathai e i suoi sostenitori rispondono piantando alberi vicino alla foresta. Le guardie di sicurezza aggrediscono i contestatori e Wangari rimane ferita. Tuttavia, anche in questo caso, il progetto governativo fallisce.
Grazie al suo impegno sociale e ambientale, nel 2003 Wangari Maathai diventa viceministro dell’ambiente del nuovo governo – eletto dopo 24 anni di regime – presieduto da Mwai Kibaki e rimane in carica per due anni. Nel 2005 viene insignita del Premio Nobel per il suo contributo a uno sviluppo sostenibile, alla democrazia e alla pace.
Muore di tumore del 2011, ma non senza lasciare in eredità i frutti di una vita di battaglie: 51 milioni di alberi piantati in Kenya e 30.000 donne formate in attività come la silvicoltura e l’apicoltura, in grado di assicurare un reddito ma preservare le risorse e la diversità degli ecosistemi.
Questa è la storia di Wangari Maathai. È una storia complessa, che Claire Nivola riesce a rendere semplice e comprensibile ai giovani lettori, tanto quanto il gesto di piantare un albero. Un piccolo gesto, ma rivoluzionario.