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Alberto Arbasino, addio all’ultimo dei grandi

24 marzo 2020 | feltrinelli
Alberto Arbasino, addio all’ultimo dei grandi

Alberto Arbasino si è spento a Roma il 23 marzo, con lui se ne va l’ultimo grande del ‘900.

Non sta a noi, semplici relais tra l’editore e la libreria, spendere troppe parole su Alberto Arbasino. Il tempo che la notizia della sua morte si propalasse e stamattina i quotidiani, già ieri il web, hanno iniziato a ribollire di articoli, coccodrilli – Arbasino aveva appena compiuto novant’anni e purtroppo la sua salute era da tempo peggiorata – , ricordi a caldo di colleghi, amici, critici letterari.

Il modo migliore per noi per ricordarlo è condividere QUI la puntata di Radio 3 Fahrenheit di questo 23 marzo, in cui la conduttrice Loredana Lipperini intervista Roberto Calasso, di Adelphi, che è stato l’editore di Alberto Arbasino dal 1993, e Raffaele Manica, critico e docente letterario, curatore dei fondamentali due volumi dei Meridiani dedicati allo scrittore lombardo. A fine puntata, Fahrenheit torna ad Arbasino, riproponendo una intervista fattagli nel 2012 in occasione della pubblicazione di Pensieri selvaggi a Buenos Aires.

Alberto Arbasino era davvero uno degli ultimi grandi. Una voce unica, inimitabile, del tutto aliena da compromessi. Il piacere della lettura bisognava guadagnarselo, inseguendolo di libro in articolo, imparando a orientarsi in quella selva di voci e citazioni. Ma una volta entrati in quel flusso unico, ininterrotto, inimitabile, in quel labirinto di conversazioni e discussioni e passaggi di informazioni tra già informatissimi, che erano i suoi romanzi, i suoi saggi e le sue cronache letterarie da tutto il mondo, il piacere era assicurato.

Arbasino ha carambolato per anni tra Einaudi e Feltrinelli, esordendo con l’uno e riesordendo con l’altro, spostando titoli di qua e di là tra via Andegari e via Biancamano, per approdare poi, a fine decennio Settanta a Garzanti e finalmente, a inizi anni Novanta, trovare casa definitiva in via San Giovanni sul Muro. Adelphi è diventata l’editore di tutto Arbasino pubblicando man mano i suoi nuovi libri, e recuperando i titoli storici, pochi dei quali riproposti così come erano usciti in prima edizione, perlopiù invece completamente riscritti, con un lavoro di ripensamento e rifacimento minutissimo, insieme stilistico-linguistico e tematico.

Come nel caso del primo titolo del nuovo corso, il suo capolavoro, quel Fratelli d’Italia già pubblicato da Feltrinelli nel 1963 e da Einaudi in nuova versione nel 1976. L’edizione Adelphi del 1993 vede una totale riscrittura, una attualizzazione dei temi, dei riferimenti e degli spunti polemici. È davvero un libro tutto nuovo. Del tutto inedito sarà invece, l’anno successivo, Mekong, diario di viaggio tra Vietnam, Laos e Cambogia in visita alle vestigia di antiche civiltà, alle vivissime eredità coloniali e, giocoforza, alle ancora evidenti ferite della guerra finita vent’anni prima.

Da lì in poi, i titoli nuovi sono andati di anno in anno affiancandosi a riproposte e riscritture. A lato del Super Eliogabalo e de L’Anonimo Lombardo sono arrivati Marescialle e libertini e le Lettere da Londra, in fila con La bella di Lodi e Le piccole vacanze sono apparsi Le muse a Los Angeles e Dall’Ellade a Bisanzio, le cattivissime noterelle sull’Italia di massa odierna de La vita bassa e il commovente e irriverente omaggio al maestro Gadda de L’ingegnere in blu. Fino ai due strepitosi ultimi libri da lui pubblicati: i Ritratti italiani e Ritratti e immagini, che ci portano con mano a incontrare scrittori, poeti e saggisti, filosofi e registi, cantanti e pittori da lui incontrati, intervistati, ritratti, notomizzati con amore per niente reverenziale nel corso di tanti decenni.

Una ventina di titoli che meritano tutti di essere letti e riletti, scoperti e ritrovati a distanza di anni. Nell’intervista a Fahrenheit, Roberto Calasso annuncia che pubblicherà un antico libro di cronache teatrali, Grazie per le magnifiche rose. Uscì nei “Materiali” di Feltrinelli nel 1966 e da allora era fuori catalogo. Non vediamo l’ora, e sin d’ora lo ringraziamo.