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Può l’intelligenza artificiale creare arte?

1 dicembre 2020 | cristina
Può l’intelligenza artificiale creare arte?

Le macchine possono essere creative? Filosofi, artisti, informatici e studiosi si confrontano sulla questione in Arte e intelligenza artificiale (Jaca Book)

di Cristina Resa

Il 23 ottobre del 2018, nella prestigiosa casa d’aste Christie’s, si verifica un evento destinato di scuotere le fondamenta del mondo dell’arte. Viene venduta, per 432.500 dollari, un’opera intitolata Edmond de Belamy, che ritrae un gentiluomo francese dall’aria malinconica, vestito di nero. La firma dell’autore è molto lunga, alfanumerica e pressoché illeggibile. 

Il misterioso pittore, in realtà, non è umano e la firma non è altro che la formula algebrica dell’algoritmo con cui è stato realizzato il quadro. Edmond de Belamy è, infatti, la prima opera creata da un’intelligenza artificiale che sia mai stata messa in vendita sul mercato. 

Dietro l’algoritmo, naturalmente, ci sono degli esseri umani. In questo caso, Hugo Caselles-Dupré, Pierre Fautrel e Gauthier Vernier – membri del collettivo francese Obvious che hanno prodotto gli undici ritratti di famiglia d’ispirazione rinascimentale e barocca che compongono la serie Belamy. 

In un precedente articolo vi abbiamo parlato delle intelligenze artificiali e di come siano entrate a far parte della nostra vita di tutti i giorni. Attraverso i saggi dei massimi esperti del settore, abbiamo ragionato sulla grande rivoluzione tecnologica in atto, destinata a trasformare il mondo. 

Oggi, invece, affrontiamo un altro aspetto tanto affascinante, quanto sconvolgente, di questa nuova era. Lo facciamo presentandovi un volume unico nel suo genere: Arte e intelligenza artificiale. Be my GAN (Jaca Book), prima discussione internazionale sul tema. 

Edmond de Belamy, Algoritmi gan, stampa inkjet su tela, 70 × 70 cm.
Edmond de Belamy, Obvious 2018.

Il dibattito

Il libro raccoglie le voci di filosofi, artisti della scena internazionale, informatici, studiosi d’arte e di musica, che si confrontano, ognuno in modi e prospettive differenti, sui caratteri e le potenzialità delle GAN (acronimo per Generative Adversarial Networks).

A curare questa innovativa antologia critica c’è Alice Barale, filosofa specialista in Estetica e collaboratrice dell’Università degli Studi di Milano. Perché, di fatto, il nuovo tipo di arte pone tutta una serie di domande di carattere filosofico, storico-artistico, sociologico.

Che cos’è la creatività? Le macchine possono essere creative? Chi è l’autore: l’artista umano o l’algoritmo? Il processo generativo di un sistema d’intelligenza artificiale può essere qualificato come originale? Come valutare le opere d’arte così ottenute e in base a quali criteri estetici?

L’argomento, naturalmente, porta con sé anche tutta una serie di controversie: la vendita all’asta di Edmond de Belamy ha scanetato grandi entusiami e feroci polemiche.

«Alcuni considerano l’intelligenza artificiale uno strumento pericoloso, che rischia di annientare gli artisti; altri la ritengono un elemento al di fuori dalla loro portata, destinato a non avere mai alcun impatto sulla loro vita quotidiana. C’è chi vi ravvisa un promettente ambito di investimento, e chi la considera una bolla economica» spiegano i membri di Obvious. 

Arte e intelligenza artificiale cerca di mettere ordine in questo dibattito e fornisce gli strumenti fondamentali per capire quello che potrebbe essere un nuovo genere d’arte. 

Infinite Skulls, Robbie Barrat/Ronan Barrot 2019, olio su tela, stampa uv su plexiglass.
Infinite Skulls, Robbie Barrat/Ronan Barrot 2019

Cosa sono le GAN?

Innanzitutto, poiché ci troviamo in un campo nuovissimo, è bene partire dalle definizioni. Nell’ambito dell’apprendimento informatico, si definisce Rete Generativa Avversaria, in inglese Generative Adversarial Networks (GAN), una coppia di reti neurali che vengono addestrate a competere l’una contro l’altra. Una è chiamata generator e ha il compito di produrre nuovi dati, l’altra discriminator e apprende come distinguerli da quelli creati artificialmente.

Si tratta, in sostanza, di un gioco a guardie e ladri, come lo descrive anche il suo giovane inventore, l’informatico e ricercatore statunitense Ian Goodfellow: il modello generativo agisce come un falsario, quello discriminativo deve individuare i falsi. 

Attraverso questo dialogo, una GAN riesce così a elaborare un numero impressionante di dati, sfuggendo al controllo umano, con risultati del tutto inaspettati. È possibile usare le GAN, ad esempio, per creare fotografie di persone che non esistono, assolutamente realistiche, partendo da un numero adeguato di immagini reali. 

Per realizzare il ritratto di Edmond de Belamy, ad esempio, sono inseriti nel sistema 15.000 ritratti dipinti tra il XIV e il XX secolo. Le due reti hanno fatto il resto. 

Chi è l’artista, chi è l’autore?

Una domanda sorge spontanea. Gli autori di Edmond de Belamy sono davvero i membri di Obvious? «Se l’artista è quello che crea l’immagine, allora quella sarebbe la macchina», afferma Caselles-Dupré in un’intervista a Christie’s. «Se l’artista è colui che detiene la visione e vuole condividere il messaggio, allora siamo noi». 

Tuttavia, per realizzare i ritratti del progetto, i membri di Obvious si sono a loro volta serviti di un algoritmo ideato e condiviso in rete da giovane studioso e artista americano, Robbie Barrat. E a quel punto, ci chiediamo di nuovo: chi è l’autore?

Come ci racconta Barale nel libro pubblicato da Jaca Book, Barrat afferma che la vera opera d’arte per lui sono le GAN stesse. Anzi, lui e altri artisti che lavorano con le intelligenze artificiali hanno persino accusato i colleghi di Obvius di aver strumentalizzato l’algoritmo a fini commerciali. 

Il dibattito è, prevedibilmente, molto acceso sia all’interno del mondo della AI Art, sia dell’arte in genere. Perché l’esistenza di un’arte prodotta in questo modo mette in discussione il rapporto univoco che esiste tra soggetto e oggetto, tra autore e opera creata dall’ingegno di quest’ultimo. 

«Se ogni processo creativo è sempre anche una perdita temporanea di controllo da parte dell’artista […] le nuove forme di arte che si stanno sviluppando grazie all’intelligenza artificiale portano la consapevolezza di questo momento al centro dell’attenzione non solo dell’artista, ma anche del pubblico, e trasformano il mezzo del fare artistico in un vero e proprio “partner”, dando vita a forme del tutto inedite di interazione» scrive Alice Barale nell’introduzione di Arte e intelligenza artificiale. Be my GAN.

Naturalmente, nel libro si discute anche del problema dell’originalità, della riproducibilità e del carattere trasformativo di questa forma di arte. Barale ci avverte: «La “riproduzione” da parte di una AI è però qualcosa di diverso da quella di una fotografia o di un film. Avviene secondo modalità nuove […]. La macchina, con i suoi errori di interpretazione e le sue deformazioni (i cosiddetti “artefatti”), acquisisce una nuova autonomia». 

In sostanza, a differenza della fotografia, nella AI Art l’artista perde definitivamente il controllo. Questo ha portato Mario Klingemann a coniare un nuovo termine per definire i ritratti realizzati con le GAN: neurografia, in inglese neurography (fusione dei termini photography e neural network).

Fall the House of Usher. 1. Fotogrammi dal film del 1929; 2. Disegni del film; 3. Immagini generate dalle gan; 4. Disegni delle immagini generate dalle gan.
Fall of the House of Usher. 1. Fotogrammi dal film del 1929; 2. Disegni del film; 3. Immagini generate dalle GAN; 4. Disegni delle immagini generate dalle GAN.

Le voci di Arte e intelligenza artificiale

Arte e intelligenza artificiale. Be my GAN, come abbiamo accennato, raccoglie i diversi punti di vista, tracciando un panorama ricchissimo, anche dal punto di vista estetico.

Creatività

I saggi critici proposti sono scritti da esperti riconosciuti nei rispettivi campi. L’informatico e sociologo Michael Castelle, ad esempio, ci parla del carattere relazionale delle reti GAN. «Proprio il rapporto dinamico tra il generator e il discriminator, che è all’origine della maggiore “instabilità” delle GAn rispetto alle altre reti neurali e del loro difficile utilizzo in campo musicale, è la chiave al tempo stesso della loro maggiore “autonomia” e del loro maggiore potenziale creativo» spiega Castelle nel suo saggio. 

A questo proposito, Marian Mazzone, storica dell’arte e membro del Rutgers Art & Artificial Intelligence Lab, porta invece avanti una riflessione filosofica sulla creatività e l’autonomia delle AI. Come evitare che i risultati ottenuti siano prevedibili? Il punto di partenza per evitarlo, secondo Mazzone, sta nell’aumentare le componenti random nella scelta dei dati inseriti nel sistema. 

Nel volume c’è anche spazio per le voci degli artisti che si occupano di produrre arte con le GAN. Mario Klingemann, ad esempio, è l’autore di Memories of Passersby (nella foto di copertina), che utilizza le reti per generare un flusso infinito di ritratti di persone inesistenti, prodotti da una macchina in tempo reale.

Mimesi

Anche Anna Ridler crea arte con l’intelligenza artificiale. Nel volume racconta il processo creativo da cui nasce il suo Fall of the House of Usher, video installazione realizzata con una serie di GAN interconnesse. In questo caso, il dataset delle GAN è costituito da 200 immagini realizzate a china dall’artista e ispirate all’adattamento cinematografico muto di Watson e Webber del 1929 del celebre racconto di Edgar Allan Poe. Il risultato è un’animazione di 12 minuti che riflette sui concetti di ripetizione, ricordo e ricreazione. 

Il tema della mimesi nella AI art è indagato, a sua volta, dalla filosofa Georgia Ward Dyer. «La similitudine è alla base del nostro modo di creare significato e dal momento che siamo animali affamati di significato, l’arte (intesa sia come produzione di opere sia come incontro con esse) ne costituisce la manifestazione logica» ci spiega Ward Dyer.

In Arte e intelligenza artificiale è presente anche un intervento del collettivo Obvious, che racconta la genesi di La Famille de Belamy e della nuova serie di opere di ispirazione giapponese dal titolo Electric Dreams of Ukyio, stampate con l’antica tecnica moku-haga.

Nel volume trovano spazio anche forme d’arte diverse da quelle visive. Caterina Moruzzi, filosofa ed esperta di estetica musicale, parla delle GAN utilizzate per comporre musica. La musicologa e musicista Vera Minazzi, invece, ci parla del futuro anche commerciale della AI music e, in particolare, del software Flow Machine, sviluppato da Sony Francia per «comporre musica nello stile di uno specifico autore, evitando il plagio».

Nuove sfide

Chiude l’antologia un intervento di Alice Barale che illustra le sfide lanciate dall’AI art. La filosofa ci parla quindi di tre opere emblematiche. Infinite Skulls (2018), ad esempio, è frutto della collaborazione tra un’artista AI e uno tradizionale, il già citato Robbie Barrat e il pittore francese Ronan Barrot.

Learning to see (2017), serie realizzata da Memo Akten, consiste in un’installazione che utilizza gli algoritmi di apprendimento automatico. Lo spettatore è chiamato a scegliere tra alcuni oggetti di uso comune per proporli all’attenzione di una GAN.

Infine, nell’installazione in tre parti dal titolo Circuit Training, realizzata dal già citato Mario Klingemann, i dati sono forniti direttamente dagli stessi fruitori dell’opera. Gli spettatori entrano in cabina fotografica che cattura le loro immagini e le usa per creare i dataset per reti neurali.Abbiamo voluto introdurvi al panorama ricchissimo presentato in Arte e intelligenza artificiale. Be my GAN, ben consci di aver scalfito appena la superficie di un libro densissimo e ricco di spunti di riflessione. Siamo sicuri di trovarci di fronte a un testo destinato a diventare un vero e proprio punto riferimento nello studio dell’arte del futuro, imperdibile per tutti gli amanti dell’arte e gli appassionati di tecnologia.

In apertura, Memories of Passersby – Version Companion, Mario Klingemann 2018