Sta conquistando lettori in tutto il mondo il fascinoso romanzo di Benjamín Labatut. Noi lo incontriamo in streaming.
Alzino la mano tutti quelli che durante l’ora di fisica misuravano sconsolati l’incolmabile abisso della loro insipienza. Facciano un passo avanti coloro che alla sola vista di una formula sentivano squagliarsi ogni residuo di autostima.
Signori, Quando abbiamo smesso di capire il mondo è il vostro libro. Il nostro libro. Lo ha scritto un quarantenne cileno nato a Rotterdam, Olanda, Benjamín Labatut, e lo ha da poco pubblicato Adelphi.
Il 19 febbraio, alle 18.00, sulle pagine Facebook di Adelphi, di PDE, e delle librerie che aderiscono alla messa in onda, tallonato dalle domande di Claudia Durastanti, Benjamín Labatut ci racconterà cosa lo ha spinto a sprofondare nella storia della scienza novecentesca, a esplorare (forte di rigorosa documentazione, ma con una spruzzata di risolutiva invenzione romanzesca) la vita di chimici, matematici e fisici che hanno cambiato il modo di intendere il mondo e il destino di miliardi di individui.
Per prima cosa, il romanzo non romanzo di Labatut (in una recensione entusiastica sul Guardian, John Banville lo ha definito non fiction novel) è il nostro romanzo perché ci fa capire, se non tutto, un bel po’ di cose della fisica teorica più avanzata. E in più ci fa capire con la chiarezza cui solo un grande scrittore può attingere, che con la fisica contemporanea non siamo solo noi bestie a non raccapezzarci.
Neanche i fisici che hanno elaborato quelle stesse teorie ci capiscono più nulla. E intendiamoci, non perché le teorie non siano valide. Lo sono, funzionano alla grande, sia sul piano teorico che nelle applicazioni pratiche: senza la fisica quantistica non avremmo i computer e i cellulari di ultima generazione, non avremmo mai inventato il gps, e se è per quello neanche la bomba atomica…
Il fatto è che sappiamo che la teoria funziona anche nella pratica più quotidiana, ma non riusciamo – non noi, i fisici – a capire come funziona, a cogliere l’intimo perché di quelle equazioni e di quelle matrici. Il che spiega forse anche la quantità di folli ed eccentrici che popolano le cronache della matematica e della fisica più recenti.
Uomini di incredibile brillantezza schiantati dal peso di una teoria che non riesce, non può costitutivamente spiegare se stessa, che nega il senso comune, l’esperienza concreta, la cruciale umanissima certezza che gli effetti dipendono da cause e che queste vengono prima di quelli; che una cosa o ha un certo statuto o ne ha un altro; che una particella è fatta in un modo e un’onda in un altro; che se un oggetto è qui non può essere anche lì; che il tempo e lo spazio sono due concetti diversissimi cui corrispondono cose diversissime; che un gatto non può essere vivo e morto nello stesso momento; che gli oggetti esistono a prescindere che io li osservi o meno.
Concepire un mondo tutto alla rovescia e dimostrarne l’indiscutibile verità tramite inattaccabili calcoli matematici può minare anche le menti più solide.
E poi, e poi quel caso che così prepotentemente sembra avere occupato il centro della scienza, scalzandone l’antica certezza deterministica, sembra anche presiedere alle vite degli eroi di Labatut.
Come il tragico Fritz Haber, premio Nobel per la chimica, inventore dei gas bellici responsabili dell’orrenda morte di migliaia di soldati sul fronte della Somme (sua moglie si suiciderà per quello), e al contempo benefattore dell’umanità per aver scoperto come estrarre l’azoto dall’aria, rendendo possibile la produzione su larga scala di concimi che evitarono la morte per fame di milioni di persone. Fritz Haber era ebreo, ed è ricordato anche per aver sintetizzato un potentissimo insetticida, lo Zyklon B, che giusto pochi anni dopo il brevetto diventerà l’ingrediente risolutivo della Shoah.
O come Alexander Grothendieck, genio matematico, figlio di un anarchico ucraino perennemente in fuga dalle polizie di mezza Europa del quale neanche sappiamo il nome. Il geniale Alexander rivoluziona la matematica in opere dalla mole inattingibile come gli Éléments de géométrie algébrique per poi abbandonare tutto e trasformarsi in un eremita pacifista di volta in volta ritirato sui Pirenei o insegnante di matematica ad Hanoi sotto i bombardamenti americani.
E che dire di Werner Heisenberg e di Erwin Schrödinger, i duellanti che passano la vita ad affrontarsi, confutarsi, insultarsi? Il primo, giovanissimo si rifugia nell’inospitale isola di Helgoland per sfuggire a una deturpante allergia e lì, in un clima da tregenda, giunge a definire la teoria dell’indeterminazione, turbando persino l’anticonformista Einstein. L’altro elabora le sue tesi dentro e fuori dai sanatori, in un turbine di amanti, alternando momenti di febbrile attivismo a lunghi periodi di inerzia. Uno compromesso col regime nazista, l’altro in fuga dalla Germania hitleriana, uno costretto a inventare un complicato calcolo a matrice per dar conto dei salti quantici delle sue particelle subatomiche, l’altro che stupisce delinea la sua inusitata meccanica ondulatoria senza abbandonare il tradizionale strumento delle equazioni, uno che vede il mondo subatomico in forma di particelle, l’altro che vede la materia in forma di onda.
Il viaggio di Benjamín Labatut nella straordinaria vicenda della fisica novecentesca, impresa corale realizzata da personalità uniche e irriducibili, si conclude sui contrafforti della cordigliera andina, nel paesino cileno dove un Benjamín in tutto simile all’autore del romanzo passa parte del suo tempo di scrittore. E lì, il mondo recupera la sua scala umana, quel compromesso tra le strutture fondanti e la possibilità di averne esperienza di noi umani. Gli alberi crescono nel bosco, gli animali cercano cibo e ricetto tra i loro rami e nel loro tronco, gli umani costruiscono villaggi, curano giardini, e anziani pensionati muoiono in pace, per come si può morire in pace, portandosi dietro il peso delle torture inflitte ai propri prigionieri ai tempi della dittatura. È lì che il Benjamín fittile incontra il giardiniere notturno. Che in una vita precedente era un matematico…