Trent’anni dall’avvio della guerra in Bosnia: ne parliamo in streaming a #PDESocialClub con gli autori di Maledetta Sarajevo
Sembra passata un’era geologica per noi smemorati nati e cresciuti dal lato più tranquillo dell’Adriatico. Ma in questi giorni cadono i trent’anni dall’avvio di quell’obbrobrio tutto europeo della guerra in Bosnia.
Noi abbiamo deciso di ricordare l’anniversario presentando, il 3 febbraio alle 18.00 su #PDESocialClub, il bellissimo Maledetta Sarajevo, di Francesco Battistini e Marzio G. Mian, entrambi giornalisti del Corriere della sera ed entrambi inviati in Jugoslavia all’epoca dei fatti, edito in questi giorni da Neri Pozza.
A intervistare gli autori, la giornalista di Rai Radio3 Mondo Marina Lalović, nata Belgrado nella ex Jugoslavia. La presentazione sarà visibile sulle pagine Facebook e YouTube e sul sito di PDE, sulla pagina Facebook di Neri Pozza Editore e su quelle delle librerie che decideranno di condividere l’evento.
Volendo essere precisi, l’anniversario cade il 1 di marzo. Quel giorno del 1992 si votò il referendum che decise l’indipendenza della Bosnia ed Erzegovina dalla Repubblica Federale Jugoslava (i serbi avevano scelto di non votare) e quello stesso giorno un membro delle forze speciali sparò su un corteo nuziale serbo uccidendo il padre dello sposo, dando così innesco a una strage durata poco meno di quattro anni.
Questo omicidio andava ad aggiungersi agli infiniti anelli di una catena di torti che risale i decenni e i secoli in questa terra di confine, vera e propria faglia sismica della storia europea: musulmani contro cristiani, ortodossi contro cattolici, impero ottomano contro impero austroungarico, croati serbi e musulmani perennemente in lotta tra loro facendo a gara a chi uccide di più e con maggior fantasia. Un intrico di rancori e vendette pressoché inestricabile, su cui precipita il disfacimento della Jugoslavia dopo la morte di Tito e la fine dei blocchi.
Il libro di Battistini e Mian, però, non si limita a ricostruire storia e cause di quel conflitto, non si accontenta di riraccontare il già raccontato trent’anni fa, quando, giovani reporter si ritrovarono accampati allo Holiday Inn o – unici giornalisti cui fu permesso di entrarci – stretti nel pertugio del leggendario e segretissimo tunnel che univa la città assediata all’aeroporto. I due autori lo fanno, con enorme e tragicamente vivida messe di storie, di Storia e di aneddoti, ma in più tornano a Sarajevo dopo trent’anni e ci raccontano cosa è la Sarajevo di oggi, cosa è diventata la Bosnia di oggi, cosa continua a covare sotto le ceneri di un conflitto che non si è mai davvero concluso.
La città un tempo multietnica, multireligiosa, multilinguistica è divisa in quartieri etnicamente, religiosamente, linguisticamente separati. Il centro musulmano si è definitivamente islamizzato grazie agli apparentemente inesauribili fondi provenienti dalla Turchia di Erdogan e dai principati del Golfo, la città si è trasformata in un parco a tema dell’orrore e di una memoria che non riesce a sanarsi. Battistini e Mian la attraversano tutta, parlando con tutti, i musulmani, i croati e i pochi ebrei rimasti, i serbi che sparavano sulla città dalle montagne e i serbi che parteciparono alla difesa di quella stessa città, gli alti ufficiali dei Caschi Blu dell’ONU e il giudice Carla Del Ponte, vanno a Mostar, girano tutta la Bosnia e si spingono fino all’isola di Wight, nel cui carcere di massima sicurezza intervistano l’ergastolano Radovan Karadžić, primo responsabile degli orrori del ‘92/’94.
Battistini e Mian non si preoccupano troppo di distribuire univoche patenti di vittima e di carnefice, in una storia e in una geografia in cui quei ruoli sono stati assunti a turno da tutti gli attori diretti della vicenda. Ma sono molto netti nel ribadire e circostanziare le gravissime colpe che ricadono su chi da fuori ha assistito, lasciato che succedesse, quando non istigato: l’Europa in primis, il Vaticano e le sue ambiguità, la Nato, gli Stati Uniti e praticamente tutto il consesso internazionale.