Cristiano Seganfreddo e il suo libro su “La banalità del brutto” ai microfoni di #PDESocialClub.
La puntata di #PDESocialClub di giovedì 23 marzo alle 18.00 sarà una doppia occasione. Ai nostri microfoni, infatti, Cristiano Seganfreddo si presenta nella doppia veste di editore e di autore. Editore della neonata Politi Seganfreddo edizioni (ne abbiamo già ampiamente parlato QUI) e autore del rapido, ma quanto denso saggio La banalità del brutto. La bellezza è politica, uscito tra i primi titoli della stessa casa editrice.
Siamo ormai tristemente rassegnati, per impotenza e saturazione, a subire il brutto come espressione primaria della contemporaneità. Città intere, che dico, metropoli, megalopoli, intere macroregioni soggiacciono a una bruttezza senza redenzione. Palazzi orrendi, ecomostri impuniti, materiali eternamente degradanti e quindi insieme perenni e degradati, paesaggi che hanno perso l’originaria grazia in una sequenza infinita di discariche e centri commerciali, capannoni inutili e villette efferate, fiumi venefici e tramonti psichedelici, frutto di una perdita di senso e bellezza che agghiaccia. Una domanda si impone su tutte, come è possibile che piazze e borghi di incomparabile eleganza, realizzate da mastri d’ascia perlopiù analfabeti, siano scempiate da manufatti moderni di altrettanto incomparabile bruttezza, progettati e edificati da architetti di buoni, probabilmente ottimi, studi?
Tutto questo però lo sappiamo. Il pianto sul Brutto con la B maiuscola è un genere letterario ormai codificato, tanto più praticato quanto più se ne conferma l’inefficacia. Da parte sua, Seganfreddo tributa alla discussione estetico-politica sul Brutto pagine di illuminante chiarezza, fa il punto sullo stato del dibattito addentrandosi nelle differenze tra brutto, kitsch e camp, da Platone ai pionieri Hermann Broch e Walter Benjamin, per discendere ai cruciali Susan Sontag, Gillo Dorfles e Umberto Eco e approdare ai saggi su Las Vegas di Ventura e Scott Brown o ai testi teorici di archistar come Rem Koolhaas – che non si sa se sia più critico o complice – per concludere con una rapida ma risolutiva analisi di due categorie/esempi tipicamente italiani di junkspace (spazio spazzatura).
Una, va da sé, è la Macroregione Padana, uno dei territori più ricchi e avanzati d’Europa il cui paesaggio si rivela «desolante nella sua povertà», senza soluzione di continuità tra ex campagna, quasi urbanizzazione, industrializzazione parcellizzata, cattedrali brutaliste del consumo; l’altra riguarda soprattutto il Sud e in specie la Sicilia, ed è l’Incompiuto, con le sue 750 opere delle quali ben 250 in suolo siculo, «trampolini, scale e ponti eretti verso il nulla» in un tripudio di cemento armato allo stato di detrito, di tondini ritorti e rugginosi, autentici monumenti all’inconcludenza, all’inettitudine, allo spreco, al disprezzo per ogni minima idea di comunità e civiltà.
Ma Seganfreddo va oltre, toglie al Brutto la sua maiuscola e concentra l’attenzione sul brutto minuscolo, su quegli elementi minimi, all’apparenza innocui che proprio nella loro ormai consolidata impercepibilità, nella loro discreta e maligna ubiquità, nella loro dimessa e intima quotidianità sono il vero, banale veleno del vivere associati contemporaneo.
Quella proposta nel libro è una prima, ma già esaustiva tassonomia del brutto urbano, supportata anche da una ricca e spietata documentazione fotografica: il plateatico, inteso come indecoroso e incontrollato proliferio di ombrelloni e tavolini, verande, gazebo e piattaforme; monumenti e statue – dal Montanelli “at work” dei milanesi giardini di via Palestro all’immane oliva taggiasca, specie di drupa in versione Godzilla, che accoglie lo sconcertato viandante all’ingresso della cittadina ligure – per i quali l’autore auspica un risolutiva e drastica moratoria, rifacendosi alla saggia considerazione di Giancarlo Politi (critico d’arte e fondatore della rivista Flash Art) che «la miglior arte pubblica è il pupazzo di neve».
E poi le rotatorie, che non contente di aver colonizzato ogni ex incrocio su ogni strada provinciale e statale pretendono di ospitare ognuna un monumento o similmonumento o diorama di cui già si è detto; i cartelli stradali, che con andamento pressoché pandemico tendono a morulare l’uno accanto all’altro, l’uno sopra l’altro, integrandosi, ribadendosi, a volte contraddicendosi e cancellando il paesaggio urbano o suburbano in cui hanno deciso di insediarsi; le piante di plastica, in forma di arbusti, alberelli, siepi, pareti di rampicanti, boschetti di bambù polimerici; gli impianti pubblicitari, capaci di occupare come autentiche muffe comunicative ogni spazio disponibile…
Ma Seganfreddo non si limita a catalogare le evenienze del brutto, indica, in un atto del tutto politico, i responsabili di questo infinito degrado, di questa irredimibile, criminale sciatteria: i pubblici amministratori, incapaci di intervenire, di regolamentare, di impedire o quanto meno arginare e preferendo monetizzare, ovviamente al ribasso; i privati che, vittime insieme della propria ambizione e di una profonda ignoranza e inconsapevolezza, impongono al mondo che li circonda il loro gusto dissennato e obbrobrioso; i “privati cittadini pubblici”, esercenti, ristoratori, detentori di qualsiasi forma di licenza che permetta loro di svolgere una effettiva funzione pubblica. Sono loro gli agenti del brutto contemporaneo, con la attiva partecipazione di architetti e geometri, grafici e pubblicitari, col piccolo problema che le tre categorie identificate corrispondono quasi alla totalità della popolazione adulta e attiva.
Nota positiva, il libro si chiude con un semplice, pratico, immediatamente applicabile “Decalogo inesatto” di soluzioni al brutto, che chiama tutti noi a vigilare e intervenire là dove siamo, là dove viviamo. La bellezza può ripartire dal basso. Può ripartire da noi.
Parleremo di tutto questo con Cristiano Seganfreddo il 23 marzo alle 18.00 sulle pagine Facebook di PDE, e delle tante librerie che aderiscono a #PDESocialClub. L’incontro sarà visibile anche dalla homepage del nostro sito, sul nostro canale YouTube, sulla pagina LinkedIn e su Instagram. Non mancate!