Andrea Canobbio in cinquina allo Strega. Noi lo abbiamo intervistato per #PDESocialClub.
Nella cinquina finale del Premio Strega 2023 c’è anche Andrea Canobbio con il suo poderoso La traversata notturna, edito da La nave di Teseo. Vi riproponiamo qui l’intervista realizzata per #PDESocialClub
Poderoso per foliazione, ma anche per ambizione e impegno di scrittura e struttura, questo sesto romanzo dello scrittore torinese. Più di cinquecento pagine nelle quali si svolge la ricerca, l’indagine, la vera e propria quête del protagonista alla ricerca della verità sulla figura del padre, morto presto e per gran parte della sua vita, la parte coincidente con la memoria del figlio, straziato da una grave forma di depressione.
Terreno del pellegrinaggio che il protagonista intraprende nel corso di mesi e stagioni, è la città di Torino, teatro della vita del padre e labirinto di strade, viali, palazzi, padiglioni ospedalieri, che hanno visto episodi della vita di famiglia, o che sono stati costruiti con la partecipazione del genitore, ingegnere. Per muoversi in questo labirinto e mantenere un controllo sulla piena di ricordi, propri o ricostruiti da documenti, lettere cartoline, il Canobbio narratore suddivide la mappa della città in un reticolo di ottantun caselle sulle quali si muoverà con la mossa del cavallo, coprendole tutte e senza mai passare due volte dalla stessa casella.
La soluzione è ingegnosa, una sfida che l’autore si pone e vince brillantemente, e, questo ha davvero del miracoloso, funziona senza che il lettore, preso dal flusso narrativo, debba per forza esserne consapevole. Insomma, la struttura, degna del Calvino del Castello dei destini incrociati o del Georges Perec de La vita istruzioni per l’uso, funziona da motore, ma a differenza che nei predecessori oulipisti e patafisici, sparisce ben nascosta dal racconto.
Ai due Canobbio, autore e personaggio, le complicazioni strutturali, a noi lettori grati lo svolgersi ipnotico dell’inchiesta attorno alla vita e alla caduta di papà Canobbio, malato disperato e ricattatorio, ma prima ancora giovane brillante, bello nella sua divisa di ufficiale del genio nella campagna di Russia (prima della disfatta, prima dell’orrore e dell’umiliazione), felice novello sposo nella città in piena ricostruzione, cantiere instancabile e grande occasione per l’ingegnere a inizio carriera. Ma attorno a lui compaiono lontane le figure di antenati e nonni dalle vite avventurose e scapigliate, e soprattutto, crescente di capitolo in capitolo, di casella in casella, la figura della madre del protagonista, vero baluardo e argine alla malattia e all’abbandono.
Una vicenda intimamente personale e familiare, certo. Ma altre linee intersecano le mosse del cavallo del protagonista narratore, che mentre percorre le vie di Torino in cerca di conferme e scoperte, legge e rilegge le opere di quel controverso padre dell’etnologia, Marcel Griaule, che a partire dal meraviglioso Dio d’acqua, ha portato in Europa la conoscenza della mitologia e della liturgia dogon, in controcanto con il suo compagno di viaggio e archivista memorialista Michel Leiris, che la prima spedizione nella terra dei Dogon registrò nel suo L’africa fantasma. E allora, forse, anche una vicenda così intima e familiare partecipa di forze ctonie, di flussi sotterranei, dell’energia del mito.