Qual è lo stato dell’editoria d’arte oggi? L’intervista integrale ad Alessandro Degnoni, condirettore generale di Skira.
Come sta l’editoria d’arte? Quali evoluzioni ha conosciuto in questi anni e quali conseguenze ha avuto la pandemia su un comparto dalle caratteristiche così peculiari, in misura così decisiva legato a forme di esperienza diretta come la visita a mostre e musei? In preparazione del convegno sullo stato dell’editoria d’arte che avrà luogo in Sala Cobalto al Salone di Torino sabato 20 maggio alle 10:30, abbiamo pubblicato sul numero 9 di INDIE – Libri per lettori indipendenti un articolo che raccoglie le interviste a quattro dei principali editori del settore.
Ovviamente, sulle pagine di una rivista lo spazio è tiranno e siccome tutte e quattro le interviste erano ricche di spunti e informazioni, abbiamo deciso di pubblicarle in versione integrale, ognuna per sé, sul sito, raggiungibili dalla rivista medesima grazie a un QR-Code. Ecco dunque l’intervista ad Alessandro Degnoni, condirettore generale di Skira.
La pandemia da Covid 19 ha duramente colpito mostre e musei e di conseguenza anche l’editoria d’arte che da mostre e musei dipende in maniera importante. Cosa è cambiato dal 2019?
Per noi, come per tutto il settore, è stato molto duro, ha determinato un crollo drastico del fatturato dovuto alla sospensione delle mostre e alla chiusura dei musei e dei relativi bookshop. Effetti pesanti con code per tutto il 2021: musei aperti con il contagocce, ingressi contingentati, la lunghissima sospensione di tutto il mondo dei gruppi organizzati, a partire dalle scuole. Ci sono stati anche casi commoventi: penso alla mostra romana di Raffaello, che è stata accessibile solo nell’ultimo mese di programmazione, anche con aperture h 24. C’erano persone che si presentavano alle quattro del mattino per visitare una mostra che sapevano sarebbe rimasta unica per anni.
Quali contromosse avete messo all’opera?
Abbiamo scelto di ricorrere alla tecnologia, con scenari testati in pandemia che adesso sono arrivati a maturazione. Abbiamo lavorato con grande attenzione sulla digitalizzazione di alcuni cataloghi, che non vuol dire solo il file PDF del libro, ma qualcosa di molto più complesso, legato al concetto di blockchain, che unisce allo strumento tradizionale e fisico una tecnologia con una funzione specifica intelligente: il digitale come servizio che completa il libro cartaceo.
Inoltre, abbiamo lavorato su progetti editoriali ed eventi insieme ai musei con il preciso scopo di realizzare un programma volto alla ripartenza. L’esposizione di Palazzo Reale sul fotografo e ritrattista statunitense Richard Avedon è stata un successo sopra ogni aspettativa, significativo anche rispetto al forte desiderio delle persone di tornare fisicamente a vedere le mostre. Questa voglia di partecipare dal vivo è qualcosa che coinvolge tutto il mondo degli eventi, compreso quello della musica. Quella di Avedon – che peraltro sta ancora girando e ora è arrivata a Palermo – è stata la mostra della rinascita, con un prodotto editoriale di grande successo sia per il mercato italiano che per quello di lingua inglese.
Siamo anche la casa editrice che si sta occupando di Bergamo e Brescia, nominate capitali italiane della cultura 2023, seguendo le due città a livello editoriale, nella gestione dei bookshop e delle loro iniziative.
Al di là della pandemia, negli ultimi anni gli editori d’arte si sono ritrovati a passare sempre più da “fornitori” di prodotti editoriali a produttori di mostre in prima persona. Cosa ha implicato questo allargamento del campo di azione in termini insieme di opportunità e di rischio?
L’editore d’arte oggi non può essere solo un editore di libri, ma si deve impegnare in diverse attività che possono andare dall’organizzazione della mostra, alla fornitura di servizi connessi non solo alla pubblicazione di un volume, ma alla comunicazione integrata legata all’evento. In qualche modo, rispetto alle mostre, l’editore d’arte va a coprire delle lacune istituzionali legate all’economia e alle finanze pubbliche, sempre più ridotte. A questo si aggiunge il ruolo del privato, non solo dell’editore, penso soprattutto alle Fondazioni, la cui importanza è andata crescendo nel loro ruolo di supplenza: su tutte, Gallerie d’Italia, ormai attiva nelle sedi di Milano, Torino, Napoli e Vicenza.
Di fronte al ridursi costante delle coperture pubbliche sul budget delle mostra, ci vuole una competenza specifica per concepire un piano economico che regga, perché il rischio è molto elevato. Da questo punto di vista, l’esposizione su Joaquin Sorolla a Palazzo Reale rappresenta un esempio interessante: se si fa una buona campagna di comunicazione, può capitare che una mostra partita con un certo tipo di aspettative abbia esiti di enorme successo. Il nostro catalogo ha registrato ottime vendite ed è interessante come un grande successo di bookshop spinga anche sul resto del mercato librario, nelle librerie.
A questo si aggiunge il fatto che aver portato a conoscenza del pubblico italiano un artista da noi pochissimo noto, costituisce un elemento culturale interessante, legato non solo all’economicità della mostra, che sottolinea come i risultati di un bookshop spesso evidenziano quelle che potrebbero essere le potenzialità per una libreria. Il pubblico interessato c’è, la mostra lo raccoglie in quel preciso momento in quel preciso luogo, ma la mostra ha un seguito in libreria sia a livello locale che nazionale, quando non addirittura internazionale. Per noi, gestire un bookshop significa creare una libreria tematica su uno specifico artista o su un preciso argomento, passando dalla saggistica, alla letteratura, ai materiali di merchandising, spesso prodotti da noi o acquisiti da altri editori o produttori.
Cataloghi e guide museali sono diventati il principale genere editoriale legato all’arte, ma non mancano altri tipi di pubblicazioni, dalla saggistica alla narrativa. Skira quali di questi ambiti tocca nella sua produzione e qual è il loro peso nell’attuale editoria d’arte?
I cataloghi delle mostre sono andati a sostituire tutta una serie di libri d’arte che prima costituivano le strenne annuali. Un tempo, le strenne bancarie raccoglievano saggi di studiosi, ma questa produzione non esiste più. Oggi, la mostra, specie se con un taglio scientifico importante, diventa il testo di riferimento valido per chi necessita contenuti di ricerca di rilievo. Pensiamo al Caravaggio di Palazzo Reale, una mostra nata dalla ricerca scientifica su radiografie che hanno portato alla definizione dei metodi di lavoro dell’artista. In questo senso, il catalogo della mostra arriva a raccogliere quello che un tempo sarebbe stato un grande saggio monografico, magari finanziato da una banca.
Poi certo, all’interno della produzione di una casa editrice come Skira ci sono libri svincolati da occasioni espositive, che fanno il punto definitivo sul lavoro di alcuni artisti e rimangono rilevanti per decenni. La nostra collana più importante raccoglie artisti fondamentali, da Lucio Fontana a Piero Manzoni, da Chen Zhen a Camille Pissarro. A queste pubblicazioni stiamo cercando di affiancare soluzioni tecnologiche che possano facilitarne l’utilizzo e, contestualmente, fornire uno strumento per la gestione degli archivi alle fondazioni stesse.
Poi c’è il mondo della saggistica e della narrativa legata a temi d’arte, che generalmente attingono ad argomenti di attualità o artistici relativi ad anniversari e momenti significativi. Infine, non possiamo dimenticare il filone dei grandi libri fotografici e la costruzione di veri e propri progetti sartoriali legati a storie aziendali o che raccontano progetti speciali.
Quello che facciamo è cercare di produrre libri straordinariamente curati, che siano dei veri e propri oggetti unici. Un aspetto per noi fondamentale è creare dei prodotti che abbiano valenza internazionale. L’ambito nazionale resta e ci concentriamo anche noi su una promozione più locale, ma per seguire quella che è la natura di Skira, un editore sovranazionale, per noi è fondamentale sviluppare progetti editoriali di respiro internazionale. Skira non vende all’estero i diritti dei propri libri, ma li pubblica con il proprio marchio: abbiamo sedi a Parigi e a Ginevra e due uffici stampa dedicati per l’estero che si occupano di quelle pubblicazioni. Il nostro sviluppo internazionale è in grandissima crescita specie negli Stati Uniti e nel Medio Oriente, oltre che in Francia.
Qual è lo spazio, oggi, per una editoria di divulgazione che svolga lo stesso ruolo che a metà anni Sessanta qualificò una collana a bassissimo prezzo come “I maestri del colore”?
Oggi quei libri sarebbero irrealizzabili, a causa dei costi dei diritti al di fuori della divulgazione di tipo scolastico. Ci sono sempre più paletti riguardanti la riproduzione di un’immagine, che su internet si trova in tutte le salse, ma la cui pubblicazione su un libro diventa inaccessibile. È un problema affrontato anche dall’AIE di recente, che è intervenuta in sostegno dell’editoria d’arte e dell’editoria di turismo. Quel genere di collana è impensabile, se non con un intervento delle istituzioni a supporto della divulgazione culturale.
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In alto, scatto dalla mostra Richard Avedon Relationships.