È arrivata in libreria Tessere, la nuova collana di Treccani Libri. E noi ne abbiamo parlato con Paolo Di Paolo a un anno di distanza dal suo ingresso in casa editrice.
di Luca Bonifacio
Ve lo ricordate il teorema di Pitagora? E le tabelline? Com’è che diceva quella frase di Kant sulla legge morale? Come faceva la prima declinazione latina? Quante volte ci siamo dannati per ricordarci dei saperi che avevamo appreso e che col tempo abbiamo dimenticato. Nozioni di cui siamo certi, per un motivo o per l’altro, ci sarebbero tornate utili anche in situazioni quotidiane.
A risvegliare quel patrimonio di saperi dormienti ci ha pensato proprio una casa editrice nata dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, patrimonio della produzione e diffusione culturale del paese. Stiamo parlando di Treccani Libri, che a partire da settembre ha portato in libreria la nuova collana “Tessere”. E a raccontarci questa nuova collana è l’autore, il critico, il conduttore radiofonico del podcast “La lingua batte” su RAI3, nonché il direttore editoriale di Treccani Libri, Paolo Di Paolo.
Come e da dove nasce quindi questa nuova avventura editoriale?
“Tessere” nasce dalla volontà di pensare che in alcune fasi della vita adulta, quando oramai ci siamo allontanati dal sapere scolastico, le nozioni, i saperi di base – quelli che oggi chiamiamo competenze – si allontanano da noi, e che ci sono stagioni della vita in cui vorremmo recuperarli. Penso per esempio a quei genitori che a un certo momento hanno a che fare con i figli in età scolare e devono rimettersi sulle tabelline, sul teorema di Pitagora, sulle prime declinazioni, sulla fotosintesi clorofilliana, sentendo da un lato la difficoltà di riaccostarsi a quel sapere, ma da un altro la voglia, il desiderio di farlo.
Quindi questa collana nasce con la volontà di pensare a dei libri che riattivino le conoscenze sopite in noi, delle conoscenze magari non del tutto cancellate, ma dormienti. Lo spirito della collana è di farlo in una chiave narrativa e di racconto, che possa tenere insieme come lettrici e lettori sia gli studenti in corso, sia gli studenti che abbiamo dentro. Perché io spero che in gran parte della popolazione adulta ci siano degli “studenti interiori”, cioè quella parte di noi che ha ancora voglia di scoprire, di sapere. In questo caso però non si tratta di apprendere un sapere da zero, ma di essere riaccompagnati dentro a un bacino di conoscenze che già possediamo, almeno in parte.
Un anno fa parlavamo con Paolo Di Paolo del libro come un oggetto pensato per un percorso di conoscenza più performativo, per un pensiero più complesso, basato sulla creazione di domande come base per il sapere. Come intende raggiungerlo la collana con i primi titoli?
I primi titoli sono nati da un dialogo con alcuni primi autori, ma vogliamo ovviamente allargare il campo sia dei temi sia degli autori. In questa prima tornata vorrei pescare sia tra le studiose e gli studiosi più rappresentativi, sia tra le scrittrici e gli scrittori. D’altra parte, a entrambe le categorie è richiesto di “narrativizzare” il sapere. Forse non è un’espressione bellissima, ma non sto parlando di divulgazione in senso stretto, perché può diventare una gabbia formale. Penso piuttosto che raccontare il sapere sia il fattore che fa la differenza.
Perciò nel caso specifico del libro Non mi ricordo le date! La linea del tempo e il senso della storia, Alessandro Vanoli ha provato a mettersi nella condizione di un bambino che incrocia sulla propria strada la linea del tempo e in cui scopre e capisce che i dinosauri stanno prima di lui. E allora viene da chiedersi: che cos’è il passato? Che cos’è quello spazio che ho alle spalle? Chi ci ha fornito uno strumento cognitivo come la cronologia? Da quale ipoteca hegeliana, positivista o ottocentesca viene questa linea del tempo? Sembra qualcosa di sofisticato, ma in realtà si tratta proprio di questo: incontrare uno strumento che poi nella vita ci determina una visione del mondo.
Annalisa Ambrosio invece aveva già scritto un bel libro su Platone, il filosofo più difficile che incontriamo dopo i presocratici e che ci esalta con la sua capacità di racconto e di metafora. Poi però arriva Aristotele. Se adesso scendessimo per strada o entrassimo in un’aula universitaria a chiedere in giro qualcosa su Aristotele, realizzeremmo subito che è rimasto molto meno nella memoria rispetto a Platone. Annalisa Ambrosio, in Lo spazio tra le cose. Aristotele e la felicità del cambiamento, si chiede il perché. E la risposta è che Aristotele è il primo filosofo teoretico, uno dei primi le cui categorie diventano teorizzazioni, schemi. Facciamo fatica a ricordarlo proprio per questo motivo, perché è come se in quel momento incontrassimo veramente la sistematizzazione di un sapere, di una prospettiva filosofica.
In questi giorni è uscito anche il libro di Silvia Benvenuti sul teorema di Pitagora: La somma dei quadrati. Pitagora e la scienza della libertà. Il teorema di Pitagora è un sapere che tutti acquisiamo a un certo punto della nostra formazione scolastica. E tutti, o quasi tutti, sapremmo dire che la somma dei quadrati costruita sui cateti è uguale al quadrato costruito sull’ipotenusa. Ma cosa viene dopo? Spesso l’incertezza o il vuoto. Silvia Benvenuti ci aiuta a capire che il teorema di Pitagora non è da noi inutilizzato, ma che lo applichiamo inconsapevolmente anche alla vita quotidiana: per esempio quando attraversiamo la strada in diagonale. Ma questo teorema non è sempre valido, quindi anche in questo caso si apre uno spazio di riflessione su quella che credevamo fosse la matematica, ovvero la scienza dell’esattezza e dei teoremi indiscutibili. E Silvia Benvenuti ci spiega che la matematica resta comunque la scienza, lo spazio della libertà.
Questi sono alcuni dei modi in cui “Tessere” cerca di accostare i saperi, costruendo anche un racconto molto affabile, molto dialettico e dialogico con i lettori. Talvolta lo fa anche in modo giocoso, perché nei libri di Vanoli e di Benvenuti c’è un lato che definirei quasi ludico, sorridente.
A un anno di distanza dal mandato di Paolo Di Paolo, possiamo definire questa collana come il primo gesto distintivo della nuova linea della casa editrice sotto la sua direzione. Cos’è cambiato per Treccani Libri ma anche per lui, in qualità di direttore, dopo un anno?
Entrando in Treccani Libri mi sono trovato in un paesaggio molto interessante, in un patrimonio immenso. “Voci” è una collana che al mio arrivo era già attiva e anche piuttosto fortunata. È una collana che recupera le voci dell’Enciclopedia e che fin dall’inizio mi è sembrata la più intelligente e rappresentativa di una casa editrice che nasce dall’Istituto Enciclopedico.
Ad oggi è difficile prendere e tirare direttamente fuori dall’Enciclopedia – intesa come librone cartaceo – la voce “nobile”. Però si può prendere quella voce e portarla in libreria attraverso una dialettica contemporanea, come nel caso di un libro che faremo tra poco su Zygmunt Bauman, una voce molto importante accompagnata dalla prefazione di un filosofo contemporaneo come Emanuele Coccia. Ragionando sulle posizioni di Bauman, Coccia rinverdisce quella voce e la fa reagire con il presente.
Nella collana di saggistica larga “Visioni” stiamo investendo molto, soprattutto sugli autori italiani, come testimonia il libro di Serenella Iovino Gli animali di Calvino. Abbiamo lavorato su Calvino anche con Matteo Motolese, che ha unito un drappello di linguisti in un libro appena uscito sulla costruzione della sua scrittura: Le parole di Calvino. Ci impegniamo quindi sia in campo letterario, sia in campo storico, come nel caso de I fratelli Vonnegut, un bellissimo libro che Ginger Strand ha scritto su Kurt, il più famoso dei due fratelli, e su Bernard, quello meno conosciuto. Si tratta ovviamente di un’acquisizione internazionale, ma io sto cercando con tutta la squadra di lavorare molto sulle commissioni ad autori italiani.
In questo senso “Tessere” si inserisce proprio in un tentativo di costruire un catalogo di riconoscibilità editoriale, che passa dal lavoro di voci nuove o di autori che magari sono legati ad altre case editrici, ma che per Treccani Libri, stimolati in un certo modo, possono produrre oggetti culturali e libri come “Tessere”. Usciremo infatti all’inizio dell’anno con un libro sul cinema western di un grande critico cinematografico di oggi come Alberto Crespi, e sarà una “voce” scritta ad hoc per noi.
Per quanto riguarda me, mi sento molto stimolato da questo enorme passato. Anche perché l’Istituto compirà cent’anni nel 2025, quindi da questo secolo di lavoro dell’Enciclopedia spero che arriveremo a quel centenario dimostrando che si può innovare, ma guardando naturalmente alla tradizione. Del resto, anche con le spalle coperte l’editoria non è una scienza esatta, direi molto meno della matematica. Nessuno ha garanzie su niente e tutto quello che reagisce sul mercato è imponderabile o quasi. Però hai le spalle coperte da un “gesto”, e questa sfida del sapere rappresentata dall’Enciclopedia mi sembra che in qualche modo ci renda “riconoscibili”. Aggiungo anche la parola “credibili” – rispetto alla quale non ho nessun merito –. Perché è vero che Treccani può anche suscitare una certa soggezione, ma credo che nove italiani scriventi su dieci che aprono la mattina il computer e hanno un dubbio su una parola cascano dentro al vocabolario Treccani online. Perché è la fonte attendibile di cui ci fidiamo. Se Treccani ti dice che si scrive in un certo modo ti fidi.
Io vorrei fare tesoro di questa affidabilità e credo che una collana come “Tessere” si rivolga a un pubblico che sa di potersi fidare nel momento in cui è proprio Treccani a invitare al ripasso scolastico.
Trovate il podcast della nostra intervista nel diciannovesimo episodio di INDIE – Libri per lettori indipendenti.