Nella città romagnola ha aperto una mostra di rilievo internazionale dedicata al cruciale movimento artistico. L’abbiamo visitata e ve la raccontiamo.
Mai stati a Forlì? È una città assai piacevole, con un bel centro storico, la riviera a due passi, ottimi ristoranti e ottime piadine per chi non vuole impegnarsi troppo a pranzo. Ma soprattutto vanta un magnifico polo museale ospitato nel fu complesso monastico di San Domenico, cinque splendidi edifici del XIII secolo in cui negli anni si sono succedute numerose mostre di primario interesse con attenzione particolare al ‘900 italiano: per dire, ancora si ricorda una storica monografica dedicata ad Adolfo Wildt.
Insomma, una gita a Forlì si impone per più motivi, soprattutto ora che ha inaugurato una mostra davvero unica: Preraffaelliti Rinascimento moderno, visitabile fino al 30 giugno, con sontuoso catalogo di Dario Cimorelli Editore.
Unica la mostra lo sarebbe anche solo perché a sud delle Alpi di Preraffaelliti non se ne vede di norma molti. Non bastasse, però, la Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, che assieme al Comune ha realizzato l’impresa, non ha davvero lesinato sull’impegno, affidandone la curatela a Cristina Acidini, Francesco Parisi, Liz Prettejohn e Peter Trippi, sotto la direzione generale di Gianfranco Brunelli, per un totale di 350 opere provenienti davvero da tutto il mondo. I prestiti infatti non vengono solo dalla londinese Tate – la sala dei Preraffaelliti è visitatissima anche da appassionati e turisti italiani – ma arrivano da ogni angolo del Regno Unito e da collezioni americane, irlandesi, messicane e sin portoricane, molto meno frequentate della Tate.
«Questa è una mostra internazionale. – conferma Gianfranco Brunelli, che abbiamo intervistato il giorno dell’inaugurazione. – È stata concepita così, il che significa non solo l’eccezionalità di prestiti a livello internazionale, ma un confronto fra scuole interpretative. In queste sale si sono confrontate interpretazioni sulla storia, sulla vicenda artistica dei Preraffaelliti di matrice britannica, statunitense e italiana. Qui si sono confrontati punti di vista che per la prima volta, mettendosi assieme, hanno realizzato una prospettiva nuova, una visione nuova, dando così vita a una delle mostre più ricche mai realizzate su questo movimento».
Di sala in sala allora il visitatore non incontra solo i quadri, i disegni, le incisioni dei grandi autori come Dante Gabriel Rossetti, John Everett Millais, William Holman Hunt, Edward Burne-Jones, ma anche esempi della produzione di William Morris e degli artisti che a Morris e alla Morris & Co. facevano riferimento: tessuti e tappezzerie, mobili e gioielli, che segnano di fatto la nascita del moderno design con largo anticipo su quella che sarà l’Art Nouveau, per non parlare della Wiener Werkstätte o del Bauhaus, che proprio a Morris devono il fondo “ideologico” del proprio operare: «Quando William Morris dichiara: “A cosa serve l’arte, se non è per tutti?” dichiara la cosa più importante che si possa dichiarare, cioè che la bellezza è il patrimonio di tutti. Allora l’oggettistica, le suppellettili, i mobili, i pianoforti, i vetri, tutto diventa oggetto di arte, di grande artigianato artistico», spiega sempre Brunelli.
La mostra è da un lato estremamente ampia e inclusiva, ma dall’altra seleziona e sceglie in base a un preciso criterio tematico: rinuncia infatti all’aspetto di “vita contemporanea”, che pure i Preraffaelliti non trascurarono, per centrare tutta l’attenzione sull’indagine puntuale del rapporto tra gli artisti della Confraternita con la grande arte del Rinascimento italiano. E in mostra, infatti, compaiono numerose opere di raffronto, che vanno dal Beato Angelico a Cimabue, da Filippino Lippi ad Andrea della Robbia, da Botticelli a Signorelli. Inclusiva lo è perché riesce ad abbracciare l’intera arcata del movimento, che si rivela assai più longevo di quanto di solito si creda, arrivando dalle sue origini a metà Ottocento fino alle soglie della Prima Guerra Mondiale. E quindi, certo, i grandi che abbiamo già elencato, i Preraffaelliti della prima generazione, i fondatori della Pre-Raphaelite Brotherhood, che nasce, chiarisce Brunetti, quando questi giovanissimi artisti cominciano «a rifiutare e a criticare l’epoca vittoriana nei suoi statuti formali, nell’arte che doveva seguire per forza le categorie, gli stilemi che i successori di Raffaello avevano stabilito come canone dell’arte. Questa rivolta, è insieme una rivolta ideale, una rivolta sociale e una rivolta generazionale. Nonostante le apparenze, non guardano a una forma passatista, il loro Medioevo e il loro primo Rinascimento sono la ricerca di una lezione, di un linguaggio per descrivere la modernità, per entrare nella modernità e non semplicemente ripetere la retorica di ciò che pure i grandi maestri avevano fatto e stabilito».
La seconda generazione va ancora oltre nell’interpretazione e nella ricerca dell’arte italiana, un tempo definita dei primitivi, allontanandosi ulteriormente da Roma e annettendo nuovi nomi e nuove geografie, specie i veneti del ‘500, dal Veronese a Tiziano e Giorgione, che diventeranno il centro della riflessione di Burne-Jones, Leighton e Watts.
Ma la mostra di Forlì va oltre e si spinge fino alla terza generazione di Preraffaelliti, la meno nota, che pure annovera artisti come Stanhope, Solomon, De Morgan, alcuni dei quali prenderanno casa a Firenze. «Ancora un Rinascimento, ancora una città che diventa il mito di se stessa, che viene ricreata in un’interpretazione quasi visionaria. È una Firenze reale ed è una Firenze immaginata, ma è una Firenze che diventa un modello ispirativo».
Modello ispirativo saranno gli stessi Preraffaelliti, che segneranno con la loro opera così apparentemente fuori dal tempo tutta l’arte a seguire, attraversando il simbolismo, che dovrà loro moltissimo, per sfociare nelle avanguardie storiche e inseminare tutta la vicenda novecentesca. «Senza di loro il Novecento italiano, quello metafisico, non avrebbe riscoperto Piero della Francesca. E non avremmo avuto quella linea sinuosa, sensuale e triste che è l’inquietudine del tempo, di ogni tempo, di ogni presente, che arriva dritta da Botticelli», conferma Gianfranco Brunelli.
Ma torniamo a William Morris e alla sua idea di un’arte diffusa, un’arte per tutti. Questo magistero ci rende familiari i preraffaelliti anche per la via delle espressioni più tipiche della contemporaneità, addirittura delle controculture: la grafica pop, la psichedelia della Bay Area nella San Francisco hippie, i fumetti di Frank Frazetta o di Vaughn Bodé, infinite copertine di dischi rock, gli illustratori di The Studio, sono tutti tributari quando non debitori diretti per via di citazione della banda di giovani bohémien che in una Londra ancora dickensiana si ritrovarono a inventare la modernità passando per il medioevo. Per citare un’ultima volta il direttore generale di questa mostra imperdibile: «Sono stati i Beatles dell’Ottocento, hanno per così dire rinnovato lo spartito. E questa tensione, poetico-letteraria oltre che pittorica, che li fa guardare anche al romanzo storico e al romanzo gotico, ha una radice certamente romantica, ma poi, nel corso del tempo, il linguaggio di cui si appropriano, che è il linguaggio dei grandi italiani del Quattrocento e del Cinquecento, li porta a respirare nella loro contemporaneità il segno e la sinuosità fatale del simbolismo. Sono molto moderni perché sono democratici, inventano l’arte democratica. E tutto questo è il Novecento».
Un’ultima notazione riguarda infine il catalogo, edito da Diego Cimorelli Editore. Lo abbiamo detto sontuoso, e non è davvero un’esagerazione: 600 pagine di grande formato, con numerosi e densi saggi sul rapporto tra “L’arte britannica e il Rinascimento italiano” (di Elizabeth Prettejohn), “La rivolta preraffaellita” (di Peter Trippi), “The romance of Italy. I Preraffaelliti tra Venezia, Firenze e Roma” (di Francesco Parisi), “L’amore e l’esilio. Firenze nello specchio preraffaellita fra Dante e Botticelli” (di Cristina Acidini), “La natura del gotico: la cultura vittoriana e il Medioevo” (di Tim Barringer), “Conversazioni con il passato” (di Susan Owens), “L’alto Rinascimento vittoriano” (ancora di Elizabeth Prettejohn), “Affascinanti bizzarrie d’invenzione. I Preraffaelliti e le arti grafiche” (di Stephen Calloway), “Un Rinascimento moderno: la creazione di un linguaggio nuovo per la riforma del design e le arti applicare” (di Charlotte Gere), “Una confraternita preraffaellita in Italia. ‘In Arte Libertas’, 1886-1902” (di Francesco Parisi), completate da introduzioni alle singole sezioni della parte iconografica, che ripercorre le sezioni della mostra, e da ricchi apparati di note. Un catalogo di mostra che durerà nei prossimi anni come titolo di riferimento per chiunque voglia occuparsi della Confraternita.