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Lo chiamavano “iradiddio”, in arte Senna

21 maggio 2024 | feltrinelli
Lo chiamavano “iradiddio”, in arte Senna

A trent’anni dalla tragica scomparsa di Ayrton Senna, il MAUTO di Torino ha dedicato una grande mostra al pilota brasiliano, con catalogo edito da Skira. Noi siamo andati a visitarla.

di Luca Bonifacio

Nella letteratura dello sport, è molto probabile che chiunque si inoltri fino alla lettera “S” non vi troverà un calciatore, un cestita, un centometrista. Semmai un pilota di Formula 1. Quel pilota, con tutta probabilità, porterà il nome di Ayrton Senna da Silva, nella sua arte semplicemente Senna. 

A trent’anni dalla sua tragica scomparsa, il Museo Nazionale dell’Automobile di Torino ha allestito una mostra a lui dedicata, Ayrton Senna Forever, curata da Carlo Cavicchi e in collaborazione con Skira che ne pubblica il catalogo. La mostra, visitabile fino al 13 ottobre 2024, non solo ricorda il pilota, ma celebra soprattutto quel fattore umano che lo distinse nelle corse e nella vita, ripercorrendo tutta la sua esistenza fuori e dentro la pista. Dalle prime vittorie sui kart agli esordi nella massima categoria in F1 con la Toleman, poi con la Lotus, la vincente McLaren, infine l’ultima Williams, tutte le storiche vetture della sua carriera sono infatti presenti in mostra quasi fossero opere d’arte, capolavori scultorei d’ingegneria applicata al motorsport.

A far loro compagnia ci sono poi le straordinarie istantanee scattate da Ernesto Colombo, Bernard Asset, Martyn Elford, Angelo Orsi – grande amico e fotografo ufficiale di Senna –, Rainer W. Schlegelmilch, Keith e Mark Sutton, Steven Tee e i fotografi di LAT Images: sono fotografie che vedono troneggiare Senna fra le rocce alla prima vittoria in F1 sul circuito del Portogallo; oppure assorto nei suoi pensieri, all’esordio assoluto nella massima categoria con la Toleman, poco prima di accendere i motori in pista per la prima volta; o ancora uscire a piedi dal circuito di Suzuka, assieme al suo compagno Alain Prost, dopo il discusso incidente che gli consegnò il mondiale un anno dopo averlo perso per la stessa ragione; ma anche adombrato in un’oscura tensione prima della gara che quei motori li spense per l’ultima volta, l’1 maggio 1994.

Questi sono solo alcuni fra più di 200 scatti presenti che scavano nell’animo del pilota brasiliano, illuminandolo di quella luce particolare che tutti coloro che gli stavano vicino hanno cercato di mostrare, di raccontare. Sì, perché il motivo per cui Ayrton Senna è rimasto dopo trent’anni nei cuori di tutti gli amanti e non del motorsport, era proprio quel dato umano che faceva trasparire nonostante avesse raggiunto altezze di fama e notorietà assolute.

Basterebbe guardare il documentario diretto da Asif Kapadia per capire cosa fu e cosa è ancora Ayrton Senna, colui che fece delle corse la sua arte danzando fra i muri dei circuiti cittadini come se non esistessero, quasi fosse un iracondo sambista che correva a 300 km/h sul bagnato come se fosse asciutto, rappresentando e incarnando lo spirito delle corse nel suo essere, a costo pure di inimicarsi chi, quelle corse, le dirigeva. Infatti fra monoposto, tute, memorabilia, foto, caschi con l’iconica livrea verdeoro a simboleggiare il brasile nella testa e nel cuore, lettere, documenti, pubblicazioni a lui dedicate nel mondo – la più ampia rassegna mai raccolta –, giornali, trofei – simbolico quello del GP brasiliano del ‘91, che quasi non riuscì a sollevare tanto fu lo sforzo fisico e la tensione umana –, attraversiamo la mostra come se fossimo nel circuito della sua vita, accompagnati proprio dai vari frammenti di quel documentario iconico del 2010, installato su tutte le pareti del museo.

Il catalogo

Ma quella di Ayrton Senna è anche e soprattutto una storia fatta di aneddoti, ripercorsi e approfonditi nel catalogo edito da Skira e curato da Carlo Cavicchi, una rilettura monografica che ci permette di capire le ragioni di un culto sportivo, popolare, culturale, letterario legato al pilota brasiliano e proseguito anche dopo la sua morte: come ad esempio il Gran Premio di Dallas 1984, nel quale fu costretto a ritirarsi dopo che la sua Toleman urtò un muro a bordo pista, in cui fu l’unico ad accorgersi che quel muro venne leggermente spostato poco prima dal passaggio di un’altra vettura, dimostrando al mondo un senso maniacale della pista fino ad allora inusitato; oppure il rapporto con il compagno di scuderia – che in F1 rappresenta paradossalmente il primo avversario da battere – e a un certo punto acerrimo nemico Alain Prost, diverso da lui in tutto, eppure clamorosamente simile nei risultati; o ancora l’inchiesta portata avanti dal settimanale Autosprint, la testata sportiva che, ricevendo querele per miliardi di lire, fu la prima portare avanti l’idea che fosse stato un problema meccanico – proprio il famoso piantone dello sterzo male installato – a causare il decesso di Senna in quel tragico pomeriggio dell’1 maggio 1994, alle ore 14.17, sulla curva del Tamburello di Imola; ma anche il discusso rapporto con Dio e il suo amore per il Brasile, un paese che davanti alle svariate difficoltà socioeconomiche vedeva in Senna l’unico motivo di gioia.

Con i contributi di Carlo Cavicchi, Emiliano Tozzi, Angelo Orsi e Paolo d’Alessio, il catalogo della mostra è allora un’emozionante monografia illustrata, ricca di fotografie e di storie che raccontano non solo la carriera di Ayrton Senna, ma anche l’essenza – in questo caso l’anima – di qualcuno che fu qualcos’altro rispetto agli altri, laddove nessuno – nonostante dei palmarès nettamente superiori nei numeri – fu mai come lui. Anzi, dopo la sua morte, per molti non fu proprio mai più domenica, come ricorda il noto cantautore. E ci basterebbe forse questo per capire la cifra, o meglio il dato umano, di chi portava il nome di Ayrton Senna. Di chi veniva chiamato “iradiddio”.

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Fotografie: Lorenzo Roccaro