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OBEY alla Fabbrica del Vapore: intervista a Shepard Fairey

17 giugno 2024 | cristina
OBEY alla Fabbrica del Vapore: intervista a Shepard Fairey

In occasione dell’allestimento della mostra OBEY: The Art of Shepard Fairey, grazie a Skira che pubblica il catalogo, abbiamo avuto l’opportunità di scambiare due chiacchiere con l’artista.


di Cristina Resa

«L’arte dovrebbe avere un ruolo più importante in ogni aspetto della società. Negli spazi pubblici, almeno, è un’alternativa alla pubblicità. È un’opportunità per condividere le idee e vedere immagini diverse e non solo quelle commerciali. Credo che possa migliorare la qualità della vita delle persone». Sono parole di Shepard Fairey, street artist e designer statunitense conosciuto come OBEY, che abbiamo intervistato in occasione dell’apertura, alla Fabbrica del Vapore di Milano, di OBEY: The Art of Shepard Fairey, la sua prima personale italiana. La mostra, curata dall’artista insieme alla galleria Wunderkammern, è stata realizzata in coproduzione con la Fabbrica del Vapore e con il supporto del Comune di Milano, ed è visitabile fino al 27 ottobre.

La street art, dunque, come mezzo artistico e di comunicazione sovversiva, che invade i luoghi pubblici in maniera diffusa. Ora, però, arriva in uno spazio museale con una finalità forse diversa: raccontare, in un viaggio visivo e concettuale, 35 anni di carriera. L’esposizione, di cui Skira ha pubblicato il curatissimo catalogo, raccoglie una ricca collezione di opere selezionate. Accanto a un corpus di lavori tra i più rappresentativi della sua produzione artistica, vengono presentati numerosi pezzi unici e inediti, concepiti appositamente per l’occasione. Inoltre, proprio nei giorni dell’apertura della mostra, nell’ambito di Manifestival, evento promosso dalla Fondazione Arrigo e Pia Pini, Fairey ha inaugurato e donato alla città di Milano un enorme murale dal titolo Tear Flame Peace. L’opera, di cui è possibile vedere una più piccola riproduzione proprio all’interno della mostra alla Fabbrica del Vapore, è situata nel al quartiere Gallaratese, in via Adolfo Consolini 26.

Trentacinque anni, dicevamo. Appassionato di skate e di tutto ciò che riguardava l’immaginario della cultura underground, fortemente influenzato dal punk-rock, Fairey inizia la sua carriera nel mondo della street art negli anni ’80 e, nel corso dei decenni, realizza centinaia di opere sui muri delle città di tutto il mondo, molte delle quali sono diventate icone della lotta contro le ingiustizie sociali, ambientali e civili. Ma come è cambiato il mondo della street art e il suo ruolo nella società dai suoi primi passi nella scena skate della fine degli anni ’80? «Quando ho iniziato, la street art era vista solo come vandalismo», ci dice Fairey nel corso della nostra intervista. «Oggi, dopo oltre trent’anni, la percezione è cambiata molto. C’è un enorme movimento di arte dei murales in tutto il mondo. Ci sono appuntamenti come questo, musei che espongono la street art. Penso sia fantastico che le persone riconoscano il valore dell’arte negli spazi pubblici».

Dopo essersi diplomato all’Accademia di Arte, inizia a utilizzare una tecnica di street art economica e veloce: gli sticker. Questo metodo, che permette di lavorare in sicurezza a casa per poi applicare rapidamente le opere in strada, si rivela molto efficace per lasciare “un segno” nel paesaggio urbano. Nel 1989 concepisce e porta avanti il progetto Andre the Giant Has a Posse, riempiendo i muri della città con adesivi raffiguranti il volto del lottatore André “the Giant” Roussimoff, accompagnato dal comando perentorio OBEY.

Questi sticker appaiono inizialmente a Charleston e in Carolina, per poi diffondersi in tutti gli Stati Uniti. Andre the Giant diventa così un simbolo ricorrente nelle opere di Fairey, mentre il suo stile si trasforma, passando dalla ruvidezza punk degli inizi a una produzione più raffinata, influenzata dal neocostruttivismo di Rodčenko e dalla pop art. Impossibile non aver visto almeno una volta il suo poster Hope che ritrae Barack Obama, realizzato durante la campagna presidenziale del 2008, lavoro che ha consolidato la sua fama a livello internazionale.

«Le mie influenze artistiche sono molto varie», ci rivela Fairey. «Sono cresciuto in un ambiente tradizionale, studiando i grandi maestri: Leonardo da Vinci, Michelangelo, Vermeer, Monet e, più tardi, ho scoperto la pop art: Andy Warhol, Robert Rauschenberg, Jasper Johns, Roy Lichtenstein, e ancora più tardi, artiste come Barbara Kruger che lavorano in spazi pubblici attraverso opere allo stesso tempo molto grafiche, sociali e politiche. Un altro artista, Robbie Conal, che fa poster di natura politica, ha esercitato una grande influenza su di me. Dal punto di vista stilistico, però, è il costruttivismo russo, con il suo graphic design audace e palette cromatica limitata, ad avermi influenzato di più. Si tratta di un’influenza molto evidente in alcune delle mie opere. Tutti questi concetti, però, sono più o meno confluiti e mi hanno ispirato in modi differenti».

Le sue opere, dunque, combinano elementi classici a quelli di propaganda politica, arte di strada e cultura pop, spesso utilizzando colori forti e immagini d’impatto. Fairey utilizza la sua arte per affrontare temi sociali, politici e ambientali, sfidando il pubblico a riflettere su questioni di potere e controllo. Proprio la rottura delle convenzioni e la disobbedienza civile, tipica della natura ribelle della street art, sono al centro dell’opera di OBEY, da sempre legata a tematiche come la guerra, l’emergenza ambientale e climatica, le questioni di genere e razziali e lo sfruttamento economico. «Credo che le persone creative siano spesso mosse dalla propria coscienza. Vogliono prendersi cura del mondo per le generazioni future, vogliono entrare in contatto con altri esseri umani in maniera solidale», ci dice Fairey. «Per questo è fondamentale, ora più che mai, visto che stiamo affrontando una serie di minacce alla vita futura, che chi fa arte abbia il coraggio di parlare del cambiamento climatico, della distruzione ambientale e del potere economico delle compagnie petrolifere. Sono tutti argomenti che affronto nelle mie opere e non sono l’unico artista a farlo. Vorrei che ce ne fossero di più».

Vi lasciamo al video dell’intervista realizzata nell’ambito del nostro ProgettoArte, che potete vedere più in alto, invitandovi a visitare la mostra OBEY: The Art of Shepard Fairey, visitabile fino al 27 ottobre alla Fabbrica del Vapore di Milano, e a sfogliare il bel volume pubblicato da Skira.