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Storia dell’American Colony, hotel di confine

28 novembre 2024 | feltrinelli
Storia dell’American Colony, hotel di confine

Francesco Battistini ospite a #PDESocialClub con Jerusalem Suite (Neri Pozza).

Di Paolo Soraci

Per capire l’attualità drammatica di questo ultimo anno bisogna a tutti i costi guardare alla storia, risalire nei decenni e a volte nei secoli per arrivare non a distribuire colpe originarie e condanne abissali ma per districare i nodi e cercare il bandolo di matasse altrimenti inestricabili. È quel che fa il bravissimo Francesco Battistini nel suo appassionante, affascinante e davvero imprescindibile Jerusalem Suite, da poche settimane pubblicato da Neri Pozza. È quel che cercheremo di fare assieme a Francesco Battistini a partire da Jerusalem Suite nel corso della puntata di #PDESocialClub di giovedì 5 dicembre alle 18.00, sulle pagine Facebook di PDE, di Neri Pozza, di Brescia Oggi, della Gazzetta di Mantova e delle librerie che decideranno di condividere lo streaming.

Appassionante e fascinoso il libro di Battistini, che scrive da grande inviato qual è – e quale abbiamo imparato ad apprezzare dai libri precedenti – e che qui più che altrove mette in campo una capacità di racconto da grande storico e, vien da dire, da valente romanziere. Complice, va da sé, l’argomento, la Gerusalemme del tormentato Medio Oriente da fine Ottocento a oggi, dalla fine del dominio ottomano alle convulsioni della cronaca più recente, tra la propaganda sadica del 7 ottobre e l’apocalisse di Gaza. Per raccontare questa storia tremenda e splendente, Battistini sceglie un luogo, una casa, un hotel, l’American Colony, dalla storia incredibile con protagonisti altrettanto incredibili: la famiglia Spafford, presbiteriani che lasciano l’America con un manipolo di seguaci per andare ad aspettare il Messia là dove più probabilmente farà la sua comparsa, manifesterà il suo ritorno, la città sacra per eccellenza, la città troppo sacra per troppe religioni.

Da questo hotel, santuario, scuola, orfanotrofio, ospedale, giardino costruito giusto sulla linea di confine tra Gerusalemme Est e Gerusalemme Ovest, tra la Gerusalemme araba e quella ebraica, il che vuol dire sulla linea di tiro di tutte le fazioni che a ogni svolta della storia si sono affrontate armi alla mano, passano proprio tutti, da Lawrence d’Arabia a Winston Churchill, da Peter Ustinov a Rudolf Hess, da Selma Lagerlöf a Mark Twayn, da Hailé Selassié a Tony Blair. Nelle sue stanze hanno dormito i grandi e hanno trovato ricetto e soccorso orfani e feriti senza nome, dal suo tetto hanno sparato i cecchini, nonostante la ferrea opposizione di Bertha Spafford maritata Vester, nei suoi saloni si sono cercate soluzioni alle diverse stagioni un conflitto che sembra eterno e irrimediabile.

Battistini, come in un Perec con sten e kalashnikov, racconta l’American Colony camera per camera, protagonista per protagonista: l’hotel resta fermo mentre i decenni e gli eventi corrono per le sue stanze. E mentre le storie si succedono, intervalla alla vicenda la cronaca recente, l’esperienza personale, affianca all’American Colony che fu, l’American Colony dei suoi anni da inviato a Gerusalemme, fino a quel tremendo 7 ottobre in cui si è consumata l’oscena strage di ragazzini e vecchi e bambini e donne israeliani e ha avuto avvio l’orrenda, immane controstrage dei civili palestinesi.

Dallo hotel degli Spafford parte quello stesso giorno a bordo di uno dei taxi che davanti all’ingresso stazionano in perenne attesa dei giornalisti. Per una volta alla guida non c’è Abu Shahin, autista, amico, fixer, solutore di problemi e nume tutelare degli inviati, che cercano sempre di lui quando c’è da correre in posti pericolosi e tendenzialmente irraggiungibili. Sono pagine terribili, ma sono anche la chiave necessaria per entrare nel libro. Esattamente come il resto del libro è la chiave necessaria per capire la storia che a questo oggi senza pietà e senza speranza ci ha condotti.