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Gino Castaldo e il sogno della rivoluzione

21 marzo 2025 | cristina
Gino Castaldo e il sogno della rivoluzione

Il critico musicale esordisce nel romanzo, l’autobiografia di una generazione. Ne parliamo con lui a #PDESocialClub.

Ospite di #PDESocialClub giovedì 27 marzo alle 18.00 avremo un popolarissimo esordiente. Si tratta di Gino Castaldo, principe dei critici musicali italiani, e del suo primo romanzo: Il ragazzo del secolo. O della rivoluzione perduta da poco uscito per HarperCollins. Come sempre, la conversazione andrà in streaming sulla pagina Facebook (e su tutti gli altri social) di PDE, della casa editrice e delle librerie che decideranno di condividere l’intervista.

Gino Castaldo è uno dei più noti e amati critici musicali italiani. Dagli anni Settanta ha scritto sulle principali testate rivolte al pubblico delle nuove musiche, Muzak per tutte, ed è da subito diventato una delle firme di Repubblica. A fianco della carta stampata ha partecipato alla nascita delle radio libere, “ma libere veramente” come cantava Eugenio Finardi, a partire dalla storica Radio Città Futura, fino ad approdare alla RAI, in radio e sul piccolo schermo. E ovviamente negli anni ha firmato numerosissimi libri dedicati al rock, agli studi di popular music, alla italianissima vicenda dei cantautori, a singoli artisti come i Beatles o Lucio Dalla.

Ora Gino Castaldo si presenta da esordiente sulla scena letteraria con un romanzo intenso e trascinante. Il ragazzo del secolo o della rivoluzione perduta è insieme un romanzo di formazione, un romanzo generazionale, un memoir che ripercorre vicende private che ben presto diventano pubbliche sullo sfondo della storia d’Italia negli anni cruciali tra boom economico, contestazione, riflusso. D’altra parte, non bastassero titolo e sottotitolo, soccorrono le tre parti in cui si articola la narrazione: l’infanzia e la prima adolescenza sotto il titolo “Ce n’est qu’un début”, gli anni immediatamente successivi al ’68 in “Il pane e le rose”, dal ’77 al riflusso con “Alors on danse”.

Collante di tutte le vicende è la musica, musica ascoltata sui dischi, inseguita di concerto in concerto, scritta sulle pagine di riviste e giornali, vissuta in ogni momento della vita. Musica come linguaggio globale che accompagna, commenta, suscita, critica, contraddice, sottolinea movimenti e fasi della vita collettiva e individuale. Per chi è coetaneo o di poco più giovane dell’autore e del suo protagonista, suona commovente ritrovare artisti, concerti, tournée di quegli anni che si sono davvero fissati come boe, pietre d’inciampo, snodi di memoria: da Piazza Navona riempita di surrealtà da Gong, Henry Cow e Robert Wyatt, in concerto per la liberalizzazione delle droghe leggere, all’assalto al palco del concerto di Lou Reed (peggio a Milano che a Roma, quella volta), fino alla scoperta “live” di Sun Ra e di Charlie Mingus, e poi l’approdo del pubblico del rock a Umbria Jazz, per non dire del rito musicale, esistenziale e politico insieme dei Festival di Re Nudo, nati come utopia realizzata e finiti in rissa e paranoia… la musica non è neanche “la colonna sonora” di quegli anni, è proprio e davvero lo scheletro che tiene insieme tutto quel che rende “formidabili” quegli anni.

Questo paesaggio in continua modificazione è attraversato dal giovane e man mano sempre più adulto Luigi, che è davvero un “tutti noi” generazionale. Inanella tutte le esperienze cruciali di chi ha vissuto quegli anni, nessuna esclusa: dalle botte dai fascisti alle fughe davanti alla celere; dalle droghe più o meno leggere alla forzata convivenza con l’eroina, che di capitolo in capitolo cresce, si insinua, miete vittime; dal sesso vissuto con una libertà oggi perlopiù sconosciuta alla scoperta di quanto tenaci siano sentimenti come la gelosia e alla messa in discussione di una liberazione sessuale a uso e consumo dei maschi opera del femminismo; dal libertarismo delle prime occupazioni e assemblee al crescente predominio di gruppi, gruppuscoli, partitini e servizi d’ordine; dal viaggio come scoperta e avventura – Londra, la Grecia, infine l’India raggiunta con magic bus ancora in grado di fare sosta a Kabul e attraversare il Khyber Pass – al protagonismo di città vissute tutte all’aperto, in ogni piazza, in ogni via, in ogni quartiere.

Quello che Luigi attraversa da testimone e protagonista è un mondo fatato, che conosce il dolore, ma lo ingloba in un progetto di vita che non sapremmo definire altrimenti che come felice. Per pochi anni che sembrano decenni, finché il combinato congiunto di eroina, repressione, terrorismo non riusciranno a mettere fine al sogno di quella generazione. La rivoluzione non si farà più, in compenso arriverà il riflusso, finirà il progetto di una politica come liberazione, l’orizzonte inizierà inesorabilmente a stringersi, la felicità non sarà più collettiva, il privato che era diventato pubblico tornerà sempre più privato. Persino la musica cambierà, inizieranno gli anni della Febbre del sabato sera, della disco, e poi a precipitare fino alla oggettiva miseria attuale. Insopportabile per chi mandava primo in classifica In the court of the Crimson king, intollerabile per chi ricorda un mondo di ragazzini che frequentavano i concerti di Frank Zappa e Cecil Taylor.

La vita di Luigi/Gino continuerà e sarà sicuramente piena di fatti, di svolte, di cambiamenti, di soddisfazioni, di scoperte. Ma qualcosa si sarà perso per sempre: «Ci veniva garantita la sopravvivenza, e anche qualcosa di più, un’esaltante, scintillante sopravvivenza, ma il patto sotterraneo era ormai scritto, a lettere di fuoco: la rivoluzione non s’aveva da fare».