Ci sono canzoni che segnano la loro epoca e rifrangono sulle epoche a venire, canzoni che diventano dei classici, degli evergreen, i jazzisti direbbero degli standard. E perlopiù non partono sotto i migliori auspici. Prendiamo il caso del fulminante esordio di Gino Paoli per come ce lo racconta Laura Rizzo in Il cielo in una stanza. 1960: Paoli, Mina e una canzone rivoluzionaria (GM Press). Chi ricorda, chi fa mente locale alla “trama”, all’ambientazione, alla struttura di questa canzone così struggente? Eppure, trama e ambientazione e alcune caratteristiche costruttive da punto di vista musicale rischiarono di segnare la fine della canzone e del suo autore prima ancora della sua pubblicazione. Perché, appunto, molti non lo sanno o non lo ricordano, “Il cielo in una stanza” è la storia di un orgasmo, ed è ambientata in un bordello, a Genova, e non ha una struttura tradizionalmente da canzone, per dire: non ha ritornello e non è in rima. E nel 1960, quando il ventisettenne Gino Paoli iniziò a proporsi a produttori e discografici, la storia di un orgasmo in un bordello, senza neanche un refrain era semplicemente un suicidio in culla. La Ariston rifiutò, Jula De Palma e Miranda Martino non vollero neanche sentirne parlare di cantarla. Un disastro, finché la Ricordi dice sì, e dice sì la giovane, ma già famosa Mina (“Tintarella di luna” è di gennaio dello stesso anno). La canzone che non voleva nessuno esce a ottobre e il successo è travolgente: ventisette settimane in testa alle classifiche; e l’anno successivo Gino Paoli registra la sua versione: un altro successo epocale e perenne.