Esce in libreria Lei mi parla ancora, raccolta dei romanzi di Giuseppe Sgarbi che hanno ispirato il nuovo film di Pupi Avati, ora su Sky
«L’uomo mortale non ha che questo d’immortale: il ricordo che porta e il ricordo che lascia». Sono parole di Cesare Pavese, ma si adattano anche alla vita di Giuseppe Sgarbi, detto Nino, padre di Vittorio ed Elisabetta, marito di Rina.
Lei mi parla ancora, il nuovo film di Pupi Avati disponibile su Sky e NowTV a partire da lunedì 8 febbraio, tratta di questo. Della necessità di guardarsi indietro, raccontare e raccontarsi, non dimenticare coloro che abbiamo amato, soprattutto quando non ci sono più. Della memoria come unico strumento per conferire immortalità.
«Ad un certo punto, non ricordo esattamente quando […] mio padre ha iniziato a raccontarsi» scrive Elisabetta Sgarbi. Da questa urgenza sono nati i quattro memoir che hanno ispirato liberamente il film di Avati: Lungo l’argine del tempo (2014, Premio Bancarella Opera Prima e Premio Internazionale Martoglio), Non chiedere cosa sarà il futuro (2015), Lei mi parla ancora (2016, Premio Riviera delle Palme) e Il canale dei cuori (2018), tutti editi da Skira.
Oggi, in occasione dell’uscita del film, i libri di Sgarbi vengono racchiusi in un’unica raccolta dal titolo Lei mi parla ancora. Memorie edite e inedite di un farmacista, appena pubblicata da La nave di Teseo.
Il nuovo volume contiene una nuova prefazione di Pupi Avati e i testi di Vittorio Sgarbi, Elisabetta Sgarbi, Claudio Magris e Giuseppe Cesaro. È inoltre arricchito da alcune pagine inedite, nelle quali rivive la «prosa classica e affascinante, piana e percorsa da echi e risonanze, come ogni classicità» – come scrive Magris – di uno scrittore capace di mostrarci aspetti familiari della vita sotto una nuova luce.
Il fiume è poesia
Nato il 15 gennaio 1921 a Badia Polesine, farmacista e appassionato d’arte e poesia, Giuseppe Sgarbi in realtà è sempre stato uno scrittore. Tuttavia, si è scoperto tale solo a 93 anni, nel 2014. Alle pagine del suo libro d’esordio, Lungo l’argine del tempo, ha affidato le memorie di una campagna antica al confine tra Veneto ed Emilia, con il fiume Po a fare da testimone.
«Ho sempre amato la poesia e amo il fiume. Perché il fiume è poesia. Della poesia, infatti, ha tutto: struttura, metro, ritmo. Culla i pensieri. E racconta storie. E, come la poesia, dà la vita», scrive Giuseppe Sgarbi.
In un certo senso, sembra quasi che nel passaggio dal racconto orale alla forma scritta, Nino Sgarbi abbia voluto trasformare in parole e inchiostro la stessa essenza del fiume. Nel leggere queste storie, lontane nel tempo ma vicine per intensità d’emozione, infatti, si ha quasi la sensazione di farsi trasportare dolcemente dalla corrente.
«I racconti orali, trasferiti nella magia della pagina scritta, hanno acquistato una forma, sono diventati – loro e lui, mio padre – eventi più grandi della vita vissuta. La scommessa era vinta. Mio padre è uno scrittore» scrive Elisabetta Sgarbi.
A questo primo libro ne sono seguiti altri tre, tutti ugualmente emozionanti e vividi nella ricostruzione del passato.
In Non chiedere cosa sarà il futuro viene portata avanti una profonda riflessione sullo scorrere del tempo attraverso il racconto degli incontri con il poeta Giorgio Bassani e il regista Valerio Zurlini.
Lei mi parla ancora, che dà il titolo sia alla raccolta che al film di Avati, è forse il cuore dell’opera letteraria di Sgarbi: si tratta dell’ultimo omaggio alla moglie Caterina Cavallini, punto fermo della sua esistenza, venuta a mancare nel 2015.
Infine, in Il canale dei cuori, lo scrittore tira le fila della propria vita attraverso un appassionante dialogo con il fratello della moglie, Bruno Cavallini, colto professore scomparso molti anni prima, che avviene sulle sponde del Livenza. E, ancora una volta, è la corrente del fiume trasportare storie ed emozioni passate.
«Fin dalle prime pagine ho provato emozione, entusiasmo, soddisfazione, e poi compiacimento per le rivelazioni e per lo stile, preso dal racconto di tante storie che non conoscevo. Ma anche un’ironia, un’intelligenza, una curiosità, un amore per la vita, un entusiasmo, una vitalità che mi erano del tutto sconosciuti» ha scritto Vittorio Sgarbi.
Lei mi parla ancora
Il primo romanzo, Lungo l’argine del tempo, si apre con una dedica: «A mia moglie Rina, che amo ora come allora». Caterina Cavallini, per il marito semplicemente “la Rina”, il grande amore della vita di Nino, rappresenta il cuore di questa narrazione.
Sposati nel 1950, hanno passato sessantacinque anni insieme. Lei mi parla ancora si apre con una toccante lettera alla moglie scomparsa.
«E tu, dimmi: perché sei andata via? Così presto, poi. Che fretta c’era?, dimmi», si chiede l’uomo, incapace di accettare la perdita di una parte di sé. «Un amore che vive anche adesso che tu non vivi più. Per questo il dolore è così grande […] Un amore come il nostro arriva molto più in là. E il tuo lo sento anche da qui».
Quello che sembra nascere come un tentativo di elaborare il lutto, si trasforma via via nel racconto semplice, sincero e pieno di calore di una storia d’amore. Una storia in grado di rendere immortali i protagonisti.
La parola immortale ricorre spesso nel film di Pupi Avati, ispirato a tutta l’opera di Sgarbi, ma costruito a partire da questo terzo, fondamentale, romanzo. Caterina Cavallini e Giuseppe Sgarbi, scomparso nel gennaio 2018, sono resi immortali dal ricordo delle persone che continuano ad amarli, ma anche dalla capacità delle narrazioni – letterarie e cinematografiche – di rendere universali delle storie intime e familiari.
Trasformare le parole in immagini
Nella prefazione del volume appena pubblicato da La Nave di Teseo, Pupi Avati scrive: «Ho letto Lei mi parla ancora e poi via via gli altri romanzi, scoprendo di condividere con questo anziano farmacista di Ro Ferrarese lo stesso sentimento di riconoscenza nei riguardi della vita. […] Raccogliendo il suo testimone mi sono trovato a realizzare un film misterioso e “amorevole” in tutte le sue sequenze, in ognuna delle sue mille inquadrature. Alcune delle quali dolorosissime eppure mai disperate».
Il regista, dunque, costruisce il film intorno all’amore di Nino per Rina, sviluppando la narrazione su tre piani diversi e complementari: presente, passato e sogno.
Il racconto del presente, dove i due coniugi sono interpretati da Renato Pozzetto e Stefania Sandrelli, è dedicato all’elaborazione del lutto.
Nella finzione filmica, infatti, la figlia Elisabetta (Chiara Caselli), assume un editor in crisi di mezza età con velleità di romanziere, Amicangelo (Fabrizio Gifuni, ispirato alla figura di Giuseppe Cesaro), nella speranza di aiutare il padre a superare la perdita. Nel confronto con l’anziano farmacista, lo scrittore imparerà quanta ricchezza può portare un sentimento così profondo e inattaccabile.
A Isabella Ragonese e Lino Musella è affidato il compito di rievocare la giovinezza dei protagonisti e raccontare la nascita di quell’amore indissolubile. Avati mette in scena la memoria del passato rurale del nord Italia con la tipica attenzione quasi antropologica verso il territorio dimostrata in tutta la sua carriera, diventata una precisa cifra stilistica.
Questa dimensione del ricordo, tuttavia, spesso sconfina in quella onirica, fino a non riuscire più a scorgere i diversi confini. Lei mi parla ancora è, infatti, un dramma sentimentale ricco di mistero, che, talvolta, assume i contorni surreali di un sogno lucido.
In questi momenti dalla forte valenza magico-simbolica, che conferiscono alla toccante opera di Pupi Avati un tocco di realismo magico, emerge la figura di Bruno Cavallini, interpretato da Alessandro Haber, a cui è affidato il ruolo di guida nel viaggio esistenziale di Nino che, in qualche modo, diventa anche il nostro.