Arrivano i saggi sulla popular music di Franco Fabbri e noi li presentiamo in streaming
I più grandicelli tra noi si ricorderanno senz’altro degli Stormy Six, gruppo nato nel cuore degli anni ’60 – prima beat e poi “neo-folk”, approdato nel decennio successivo a un’inedita mistura di progressive e canto di lotta, con un disco indimenticabile come “Un biglietto del tram” cui sono succeduti album fondamentali per la storia del rock d’avanguardia italiano e non solo (qualcuno ricorda Rock in Opposition?).
Ecco, Franco Fabbri è stato chitarrista, voce – assieme a Umberto Fiori – e compositore del gruppo. E da una trentina di anni è uno dei più importanti musicologi italiani. Tra i pionieri dei Popular Music Studies, ha pubblicato libri fondamentali come Album Bianco, Il suono in cui viviamo, Around the Clock, il recente Non è musica leggera.
Arriva l’estate e #PDESocalClub chiude e va in vacanza. Intanto però ci lasciamo con un’ultima presentazione: Martedì 13 luglio alle 18.00, con Il tempo di una canzone, di Franco Fabbri (Jaca Book), che sarà “trasmessa in diretta streaming sulla pagina Facebook, sul sito e sul canale YouTube di PDE, di Jaca Book e delle librerie che aderiscono alla condivisione.
Da poche settimane, da Jaca Book è uscito il suo nuovo libro: Il tempo di una canzone. Saggi sulla popular music. Una raccolta di testi di diversa provenienza, alcuni dalla forte vocazione teorica ma anche di notevole forza polemica, davvero non si rischia di annoiarsi.
La prima domanda alla quale Fabbri cerca di dare risposta è cosa si deve intendere per popular music e perché la musicologia ufficiale fa tanto fatica ad accettarne l’esistenza, fingendo che non sia di gran lunga la musica più ascoltata sul pianeta, e quella col maggiore impatto culturale, sociale, economico.
La seconda questione è quando e dove è nata la popular music, dato per certo che fino a fine Settecento esisteva una sola musica, uguale a se stessa che risuonasse nelle sale di una reggia o nel fondo di un postribolo, differente solo per le funzioni cui rispondeva, si trattasse di intrattenimento o danza, rito religioso, pompa dinastica o eccitamento guerresco, e che solo tra fine Settecento e metà Ottocento, tra Romanticismo e nascita delle nazioni, si è introdotta la differenza tra musica “classica” e musica popolare o folclorica. È a fine Ottocento che tra le due si inserisce quella che chiamiamo popular music e che mette insieme la canzone di Sanremo, il jazz, il musical, l’heavy metal, il liscio, il tango, la bossa nova e Frank Zappa… Insomma, per farla breve, tutti quei bellissimi argomenti di cui, ai tempi in cui i nostri capelli erano lunghi e le nostre pance piatte potevamo discutere fino all’alba. E che sono sempre rimasti lì, idee e dubbi, domande e intuizioni allo stato grezzo. Franco Fabbri prende quei sassi e ne fa dei diamanti, li taglia, li sgrezza, li lucida e ce li restituisce brillanti e limpidi. Pronti per farci discutere nuovamente, per introdurre nuovi dubbi e suscitare nuove domande.
Ma non solo. Molti di questi saggi sono veri e propri viaggi nella storia della musica. Il capitolo sugli Shadows è bellissimo per i nodi che tocca, insieme storici e teorici, ma anche per quel tanto di autobiografico che l’austero Fabbri ci regala, la nascita di una vocazione alla musica temprata negli ostinati tentativi di ricreare il suono e i giri armonici di “Apache”. Il saggio sul Bitt, la versione italiana del Beat, tra Equipe 84 e Rokes, Nomadi e Dik Dik, che mentre tratteggia la nascita e l’affermarsi della variante nazionale di un genere già globalizzato, racconta anche l’epica parassitaria delle cover e la crescita, spesso avventurosa, di una moderna industria discografica. E di nuovo, il capitolo dedicato al Progressive Rock italiano degli anni ’70: un genere, come spesso capita nominato e compreso solo postumo. Anche qui, Fabbri parte da un capitolo particolare della storia della popular music, ne affronta i nodi teorici specie nell’ambito della categorizzazione, della teoria dei generi, e insieme però ne tratteggia un esaustivo excursus storico, raccontandoci di New Trolls e PFM, di Banco e Osanna, di Balletto di bronzo e di Rovescio della medaglia, di Trip e Orme e ovviamente anche di Stormy Six.
Potremmo andare avanti per pagine a dar conto dei tanti capitoli che compongono Il tempo di una canzone: la storia della Cooperativa l’Orchestra, commovente testimonianza di un’epoca che “ci ha provato” e ci era quasi riuscita; il capitolo dedicato a Peter Gabriel e la tecnologia del suono, la storia dell’ascolto in cuffia vs stereofonia, il problema del tempo nelle canzoni.
Insomma, i quaranta minuti che di norma destiniamo alle presentazioni, martedì prossimo rischiano di risultare davvero stretti. E non avremmo potuto pensare a un arrivederci a settembre più ricco e appassionante.