L’uomo del Viceré

Dici Viceré e pensi subito a d’Urrea, Monteleone, de Vega, Gonzaga, Colonna, Osuna, Castro, Emanuele Filiberto di Savoia, ma soprattutto a Domenico Caracciolo, uno dei protagonisti della Sicilia del Settecento.

Giunge a Palermo dalla capitale francese nel 1781 e, non appena sbarcato, si rende subito conto delle contraddizioni e dei ritardi che relegano l’isola a un’era ancora feudale. Così, si rimbocca le maniche, avvia riforme di ogni tipo e va dritto in scontro con la nobiltà siciliana dell’epoca.

Questo è il contesto storico in cui si snoda l’avvincente racconto di Silvana La Spina, autrice de L’uomo del viceré, pubblicato da Neri Pozza. Una vicenda che restituisce l’immagine di una Palermo rancorosa e fetida, intrisa di un male che si porta addosso come un antico supplizio.

È il 1783, infatti, quando vengono ritrovati i cadaveri di alcune bambine, i loro corpi martoriati. Ognuna di loro porta addosso delle strane medagliette e le torture di cui le loro membra recano i segni sono simili a quelle dei monaci dell’Inquisizione. Cosa vuol dire tutto questo? Caracciolo intende indagare, non è possibile far finta di non aver visto nulla, lasciare che, ancora una volta, tutto venga dimenticato. Così manda a chiamare Maurizio di Belmonte, un nobile fuggito da Palermo che, con l’aiuto dell’avvocato Francesco Di Blasi, prova ad andare a fondo, nonostante a ogni passo la società palermitana gli sbarri la strada. Per risolvere definitivamente il mistero che aleggia attorno al caso non basteranno né la limpida ragione del Viceré né l’arguzia e il fascino di Maurizio Belmonte, ma sarà necessario affondare le mani nel male.

Cosa accadrà a questo punto? Lo si potrà scoprire solo leggendo questo giallo appassionante, ricco di colpi di scena, ma anche capace di un’analisi attenta e profonda di una società che già allora aveva in sé, come un morbo, il vizio dell’immoralità.