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Le ultime

Valeria La Rocca

Che cosa si può fare in nome dell’amore? Ogni genere di follia, fino a perdere ogni certezza, anche quella conquistata negli anni con grande fatica. La ricerca di un amore, così come il riconoscimento di quello familiare, a cui siamo legati sin dalla nascita, possono richiedere, a volte, anche una vita intera, ma cosa fare nel momento in cui l’amore giunge inesorabilmente alla sua fine? Quanto può essere difficile dirsi addio, soprattutto quando il distacco è forzato dalla morte? Quali sono le scelte possibili, ma soprattutto quelle giuste, nel tempo che resta?

L’amore è ossigeno e linfa vitale, ma anche terreno di feroci battaglie, in ogni pagina di Le ultime di Valeria La Rocca, da poco pubblicato da Solferino: «Elargire le briciole, così come cibarsene, non ha mai aiutato nessuno. Eppure continuiamo a chiederle, imploriamo, come fa il cane, che allarga gli occhi gialli e mi chiede: allora, mi ami? Non è mai facile chiudere con chi si ama: l’amore possiede tutte le chiavi, mentre tu di solito ne hai solo una. E non è un passepartout. Non c’è ingenuità maggiore di quella che commettiamo verso noi stessi. Mi ci sono voluti un decennio, svariati amori, due depressioni con ricaduta, una buona dose di sertralina e un pizzico di dopamina, per capirlo. L’unica cosa certa che posso dire, a distanza di tempo, è che riconfermerei ancora la mia scelta: quella di restare nella stanza, di attendere, di rimanere lì a osservare la sequenza ipnotica di scatti di Mont Saint-Michel appesa alla parete di fronte al divanetto di vimini su cui stavo seduta».

Nel retro di ogni pensiero della protagonista, in quel flusso di coscienza continuo che quasi la ossessiona, campeggia sempre la figura, a tratti misteriosa, del suo psicanalista: «Il Dottor B. sollevò fin da subito il dubbio che anche nel mio passato non fosse tutto così limpido, e che sotto la superficie apparentemente senza increspature della mia infanzia si nascondesse una corrente fredda che faceva venire voglia di ritrarre i piedi e uscire dall’acqua».

La protagonista ripercorre tutta la propria vita, partendo proprio dalla sua tenera infanzia segnata da una ricerca spasmodica di attenzioni e di affetto, in particolare dal padre: «Non appena fui in grado di capire chi fosse e quanta nostalgia di lui avessi provato fino a quel momento, mi negò ogni contatto: non un abbraccio, non un bacio, non una carezza. Mio padre era testardo. E in questo, ho preso da lui. Tutto quello che desideravo era essere alla sua altezza. Come ti chiami? Come ti chiami? Come ti chiami? Il suono dei miei primi passi si perde nell’eco di questa domanda. Pur di compiacerlo gli dicevo il mio nome, e lo dicevo completo di tutto il cognome, per ricordargli che in fondo era uguale al suo e che questo doveva pur voler dire qualcosa». L’amore è già allora una conquista difficile, ma diventa ancora più complicato quando arriva a casa la sua non sorella, la “Croata di Bosnia”, così come lei la chiama, una ragazza profuga della guerra nei Balcani e in affido presso la sua famiglia; per poi diventare fin troppo doloroso prima con Sebastián e poi con Marcello, i primi uomini della sua vita, cumuli di immondizia sentimentale da cui è necessario ripulirsi, se si vuole sopravvivere.

In alcuni momenti, la protagonista si racconta guardandosi dall’esterno, quasi a voler prendere le distanze di sicurezza da alcuni dei suoi ricordi, che sembrano a volte cristallizzarsi in opere d’arte di grandi artisti o prendere vita da qualche fotografia del suo album di famiglia, da lei descritta con dovizia di particolari, come a volerli incidere nella sua memoria: «Non c’è modo peggiore di rimanere orfani che quello di dimenticare la propria storia. Nei ricordi certe cose sono infinite. Esisteranno per sempre. Proprio come il dolore».

Come ci si può difendere dal dolore? Bisogna affrontarlo, lasciandosi attraversare da esso, oppure c’è un modo per evitarlo? L’amore ci può salvare dal dolore e dalle sue ferite oppure è proprio l’amore a renderlo un incontro inevitabile nel suo percorso? «Il dolore vero, quello io l’avevo scordato. Sono sempre stata brava a rimuovere. Sì, la rimozione era un bene. Anche se a me, a volte, mancava tutta quella spazzatura emotiva. E quando vuoi morire, l’unica cosa che pensi ti possa salvare è non restare solo, soprattutto con te stesso».

Eppure, quella solitudine spesso ingombrante, ancora più grande quando si è figlia unica, in alcuni momenti ha i suoi lati positivi, così come afferma la protagonista del romanzo: «Aveva un nonsoché di affascinante non dover rendere conto di niente a nessuno. Ogni tanto te ne accorgi. Il resto del tempo, piangi. Almeno se sei me, in quel periodo della mia vita».

Solo “il bianco assoluto e docile, elementare e clemente” della neve è capace di perdonare, riuscendo quasi a cancellare ogni errore, anche se in realtà non lo fa, perché: «la neve copre, non cancella; la neve abbaglia, non acceca; la neve lenisce, per un poco, finché dura – racconta la protagonista del romanzo – Parto per vedere la neve, per vivere l’illusione del bianco assoluto, sentire il freddo che anestetizza, celebrare con Nessuno il Niente che il nuovo anno ero certa mi avrebbe portato. Illusa. La vita trova sempre il modo di fregarti, intrattenerti con qualche colpo di scena quando tutto ciò che desideri è solo un po’ di noia, abitudine, prevedibilità». Ed è proprio quando il destino le fa credere di essere l’ultima, – l’ultima a essere amata, l’ultima a essere generata e a essere chiamata figlia e sorella – che la vita le regala una delle sorprese più belle, fiorendo lì dove la morte sembrava aver messo un punto.

Le ultime

Valeria La Rocca
SOLFERINO
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Genere:
Listino:
€ 7.00
Collana:
Data Uscita:
21/04/2022
Pagine:
0
Lingua:
EAN:
9788828209010