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La Babele di Marcello Fois

6 ottobre 2022 | feltrinelli
La Babele di Marcello Fois

Lo scrittore come “traduttore di se stesso” nella autobiografia letteraria che presentiamo su #PDESocialClub

di Paolo Soraci

Si parla di letteratura ai microfoni di #PDESocialClub giovedì 13 ottobre alle 18.00. Ospite delle pagine Facebook di PDE e delle librerie indipendenti che decideranno di condividere la nostra conversazione, sarà infatti Marcello Fois con il suo nuovo libro, La mia Babele, da poco uscito da Solferino Libri.

Come il polacco Joseph Conrad con l’inglese, come l’ungherese Àgota Kristóf o il boemo Milan Kundera con il francese, il sardo barbaricino Marcello Fois scrive fondamentalmente in una lingua che percepisce come “appresa”, come intimamente non sua. Fois si sente insieme scrittore e traduttore, traduttore di se stesso in una lingua ancora in buona misura estranea, se è vero che ansia, paura, rabbia ancora dopo decenni continuano per lui a manifestarsi nell’idioma isolano abbandonato ormai da ben più che metà della sua vita.

 

Da qui parte il libro pubblicato da Solferino. Dall’apprendistato di uno scrittore, anzi dalla storia della sua nascita, avventurosa e fortunata. Dalla storia stessa del suo nome di battesimo, così poco sardo e per nulla familiare. Ma non diciamo altro, sono pagine tanto intense quanto divertenti, quasi sterniane, di cui è bene lasciare la scoperta e il godimento alla lettura. Da lì inizia la carriera linguistica e letteraria dell’autore, che imparerà “a calci” l’italiano a scuola e leggendo allo sfinimento tutto quello su cui riuscirà a mettere le mani, dal Conte di Montecristo ai benemeriti “Maestri del colore” della Fabbri, dall’ostico Moby Dick all’amata Grazia Deledda. Amata nonostante l’ostilità che ne circonda la figura nella natia Nuoro: come si era permessa di raccontare in giro tutte quelle storie fino allora ben conservate dal pettegolezzo cittadino? Un italiano ancora poco sicuro di sé persino all’approdo bolognese, al confronto con l’università, con la “filologia italiana” per giunta, con l’immenso Ezio Raimondi, addirittura. E mentre il giovane Marcello deve fare i conti con tali sfide, continua a doversi ricordare di non chiedere una “tazza d’acqua” quando va al bar.

Insomma, Marcello Fois deve tradurre se stesso in una lingua che maneggia sempre meglio, con sempre maggior consapevolezza e maestria, aspirando alla conquista finale, che coinciderà con l’oblio di consapevolezza e maestria. Uno sforzo che lo accompagna ancora mentre dà l’avvio al suo fortunato cursus di scrittore, mentre infila nel giro di pochi mesi la vittoria al Premio Calvino per esordienti con gli splendidi racconti sull’arte di Picta, la pubblicazione di un primo romanzo, Ferro recente, per la piccola casa editrice bolognese Metrolibri, l’incontro con l’elegantissimo, raffinatissimo Piero Gelli negli uffici dell’Einaudi. Ma anche qui, niente spoiler… e avanti così, di pubblicazione in pubblicazione, fino all’incontro con Carla Tanzi e Frassinelli, e fino alle prime traduzioni all’estero dei suoi libri. Finalmente qualcun altro a tradurre Fois dall’italiano alle tante lingue del mondo.

Una nascita, un’infanzia, una maturità, la storia della formazione, e dell’affermazione, di uno scrittore in una novantina scarsa di pagine. Questo, grazie a una scrittura precisa, puntuta, a un’economia di scrittura che non indulge ma trova la parola giusta, la giusta giunzione tra le parole, le meno possibile, le strettamente necessarie. Come Conrad, come Àgota Kristóf. Come gli scrittori (i grandi scrittori) che scrivono in una lingua appresa, che si “traducono” in una lingua non loro, non materna.

Ma questa è solo la prima metà de La mia Babele. La seconda parte – e davvero diremmo che è un unicum nella letteratura mondiale! – Fois la dedica ai propri traduttori in giro per il mondo, dai tre successivi, diversissimi traduttori inglesi ai quattro francesi, ai tre tedeschi, all’unico spagnolo e all’unico giapponese e così via dal Brasile al Sudafrica, dal Portogallo alla Svezia… e per ogni traduttore, i problemi affrontati, lo stile di lavoro, gli incidenti e le avventure, la relazione che spesso diventa amicale, l’emozione unica e straniante di ricevere l’impenetrabile edizione giapponese. Per tutti, con tutte le soluzioni ipotizzabli a seconda della singola sensibilità e personalità, il problema del rapporto con gli innesti e gli affioramenti del sardo nell’italiano alabastrino e rastremato della prosa di Fois.

Tante sono le lingue, siano nazionali o personali, per una manciata di storie che restano più o meno le stesse e che nascono da vite che all’osso restano sempre le stesse. Tradurre queste storie, queste vite sempre uguali nell’infinita varietà delle lingue e con ciò rendere infinitamente varie queste storie e queste vite, “questo stesso sole che tramonta per tutta l’umanità”, questa “stessa mela che sta sulla tua tavola” e che è “la stessa che ha addentato Eva”, è il compito dello scrittore, la magia della scrittura letteraria.

Ma tutto questo ce lo spiegherà, infinitamente meglio, lo stesso Marcello Fois giovedì 13 ottobre alle 18.00, su #PDESocialClub.

Marcello Fois, “La mia Babele”, Solferino