Esce, attesissimo, il nuovo libro del grande fisico: lo intervistiamo a #PDESocialClub e abbiamo chiesto a Bruno Arpaia di recensirlo per noi.
Giovedì 16 marzo alle 18.00, sulle pagine Facebook di PDE, di Adelphi, e delle numerose librerie che hanno aderito alla condivisione, #PDESocialClub presenta il nuovo, affascinante, libro di Carlo Rovelli, Buchi bianchi, con il quale il fisico, autore delle Sette brevi lezioni di fisica, L’ordine del tempo, Helgoland, ci racconta del passo in più che ha fatto, che sta facendo, nella comprensione delle strutture intime dell’universo. E tale è la chiarezza, la qualità di scrittura, la lucida passione con cui presenta il suo lavoro che quel passo in più ci sembra di farlo anche noi lettori, con lui. A discutere con Rovelli un interlocutore d’eccezione: Bruno Arpaia, romanziere, giornalista, traduttore, appassionato cultore di scienza e da anni docente di Tecniche della narrazione al MACSIS (Master in Comunicazione della Scienza e Innovazione Sostenibile) all’Università di Milano Bicocca. I suoi romanzi L’energia del vuoto (2011), Qualcosa là fuori (2016), Il fantasma dei fatti (Guanda, 2020) hanno molto a che fare con la scienza e con l’Italia e anche la sua ultima opera, Ma tu chi sei (edito da Guanda come tutti suoi libri) pur affrontando un tema tanto intimo quanto la figura della madre e del suo arrendersi all’Alzheimer, deve molto all’attenta frequentazione dei più avanzati studi di neurobiologia. A Bruno Arpaia abbiamo chiesto di recensire per noi Buchi bianchi.
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di Bruno Arpaia
Lo aspettavamo con ansia, questo nuovo libro di Carlo Rovelli, cercando di immaginare in quali nuovi mondi ai confini della scienza ci avrebbe portato, con la sua scrittura in cui si realizza quel «ménage à trois fra arte, filosofia e scienza» di cui parlava Italo Calvino. In fondo, non c’è da meravigliarsi di questa convivenza di ambiti apparentemente così distanti: come ha scritto John Banville, «a un certo livello, essenziale, l’arte e la scienza sono talmente vicine che è difficile distinguerle».
Carlo Rovelli lo ha abbondantemente dimostrato con il suo lavoro di fisico e con i suoi precedenti libri per il grande pubblico, diventati straordinari successi mondiali. E stavolta, con Buchi bianchi (Adelphi, 144 pagine), ci porta per mano non più soltanto nella scienza ormai verificata e accertata, ma in quella che, sulla base del rigore matematico e della logica, si avventura in ipotesi e congetture sulle strane cose che potrebbero popolare il nostro universo e della cui esistenza al momento non siamo certi.
Fino a pochi anni fa, anche i buchi neri, gli oggetti che più hanno colpito l’immaginario collettivo, erano considerati mere ipotesi teoriche, soltanto una delle possibili soluzioni delle equazioni della relatività einsteiniana. Oggi gli scienziati li hanno perfino fotografati: sono lì, in ogni galassia, con il loro orizzonte oltre il quale il tempo sembra fermarsi e dal quale perfino la luce non riesce a uscire, a causa dell’imponente attrazione gravitazionale. Sarà così anche per i buchi bianchi? Esisteranno davvero? Sebbene pieno di dubbi, come ogni scienziato che si rispetti, Rovelli lo spera. O lo immagina. E in questo libro, scortato da Dante, ci racconta proprio le intuizioni e le riflessioni che hanno portato lui e un pugno di altri fisici a congetturarne l’esistenza, trasportandoci dentro la fisica che si spinge oltre le frontiere del già noto, così come nella Commedia il poeta fiorentino si era spinto oltre i confini dell’universo conosciuto.
Il viaggio in cui Rovelli ci accompagna inizia facendoci addentrare nei buchi neri: per un osservatore lontano, che ci guardi avvicinarci a quell’orizzonte, il tempo sembra rallentare insieme a noi, fino a fermarsi e scomparire del tutto insieme alla nostra immagine. Per noi, però (paradossi – apparenti – della relatività), oltre quell’orizzonte (se non fossimo spappolati dalla gravità) il tempo continuerebbe a scorrere normalmente. Tuttavia, ci avvicineremmo sempre più al punto in cui le equazioni della relatività non funzionerebbero, a causa dell’entrata in campo della meccanica quantistica. Le due più importanti teorie sull’universo, infatti, almeno per il momento appaiono incompatibili e si arrestano, impotenti, se si tratta di spiegare alcuni fenomeni. Perciò, quel punto misterioso, di cui non sappiamo quasi nulla, viene chiamato singolarità.
Eppure, ci dice Rovelli, grazie alle equazioni della teoria chiamata «gravità quantistica a loop», possiamo azzardare cosa può accadere dopo la singolarità: oltre un certo limite, lo spaziotempo all’interno del buco nero passa da una configurazione a un’altra. «Attraversando la regione dove la teoria di Einstein prevedeva la fine del tempo» scrive Rovelli, «per un breve istante tempo e spazio non esistono più. […] È un vero salto, come tutti i salti quantici: una rottura di continuità. Una momentanea frattura del continuo spaziotemporale. E purtuttavia è catturato e descritto dalle equazioni che abbiamo. Le equazioni della gravità quantistica descrivono un mondo più ricco di un semplice continuo spaziotemporale».
Di nuovo, dunque, Rovelli affronta il problema del tempo che lo ossessiona da anni, di nuovo entrano in campo i suoi studi sulla granularità dello spazio, sul fatto che non sia liscio e continuo, ma composto da minuscoli elementi e che sia impossibile comprimerlo oltre un certo limite. E allora? Be’, oltre quel limite il buco nero si trasforma (o potrebbe trasformarsi), «rimbalzando» in un buco bianco. Dal di fuori, un buco bianco è indistinguibile da un buco nero, ma è come se il tempo, là dentro, scorresse al contrario (o, almeno, nelle equazioni che lo descrivono). Solo che i buchi bianchi non dovrebbero essere enormi come quelli neri: «Il buco nero perde energia emettendo la radiazione di Hawking, diventa piccolo, e quando la stella rimbalza in buco bianco, questo non ritorna grande come era partito il buco nero: resta piccolo. Il buco bianco che si forma è più piccolo del buco nero genitore».
Fantastico, no? «Un buco bianco nel cielo è come un pezzettino di capello che fluttua» spiega ancora Rovelli. «A differenza di un capello, non ha cariche elettriche, quindi non interagisce con la luce: non si vede. Ha solo la sua debolissima forza di gravità. Se nell’universo primordiale o in una fase dell’universo precedente al Big Bang si sono formati molti buchi neri che ora sono già evaporati, è possibile che in questo momento fluttuino nel cielo a milioni, questi granelli invisibili di poche frazioni di grammo».
Ma perché queste ipotesi sono così importanti? Perché in questo modo, oltre a imboccare una strada in cui possono essere finalmente coniugate relatività e meccanica quantistica, verrebbe risolto il mistero della materia oscura, la materia invisibile di cui ignoriamo tutto, che non vediamo e che pure, ne siamo certi, costituisce il 23 per cento del nostro universo. I buchi bianchi sarebbero proprio ciò che finora abbiamo definito «materia oscura».
Siamo, è chiaro, in attesa di possibili conferme sperimentali. Ma intanto, è questo la scienza: «Andare a curiosare dove non siamo mai stati. Usando matematica, intuito, logica, immaginazione, ragionevolezza». Carlo Rovelli lo fa da par suo: è stato fra i primi a rivendicare di nuovo, dopo i tempi di Einstein, Bohr e Heisenberg, dopo i tanti anni di separazione tra le due discipline, la valenza filosofica della fisica, com’era stato fin dai suoi inizi; grazie a una padronanza assoluta della propria materia, riesce a comunicare al lettore in maniera chiarissima anche i concetti più originali del suo pensiero e contrari al senso comune; infine, ha frequentato molta buona letteratura, e si vede. La sua grande capacità narrativa gli consente di far provare a tutti noi la gioia della scoperta, offrendoci la possibilità di affacciarci ai bordi ultimi della conoscenza, di vivere un po’ insieme a lui le sue ricerche di confine, là dove la fisica è rigore, matematica, ma anche e soprattutto avventura e immaginazione.