di Luca Bonifacio
Quello tra romanzo e saggio è un rapporto lungo una letteratura. Capita poi spesso che da lì nasca una terza forma, che “non è né uno né l’altro”, come si dice da quelle parti. Capita infatti che a parlare di testi altrui poi nei testi ci si perda, che ci si perda soprattutto in un autore. E questo, in una vita segnata da libri e letteratura, per fortuna, è successo a Roberto Calasso, il cui inedito L’animale della foresta, edito da Adelphi, ne rappresenta un’ulteriore testimonianza.
Centro della questione, questa volta, non è solo Franz Kafka, ma i suoi ultimi tre racconti, quelli animaleschi, a contatto con la morte, a lei i più vicini: Ricerche di un cane, Josefine la cantante, La tana.
Calasso va all’origine di quello che è stato Kafka partendo dalla sua fine, di quelle che sono ‘’l’estrema asciuttezza e sobrietà delle parole, l’erudizione di forze indomabili, l’apparente consequenzialità’’ dello scrittore praghese. Ci accompagna insomma in quella ‘’passeggiata improvvisa’’ da cui lo stesso Kafka ‘’non è più tornato’’. Ci porta in quel labirinto di voci che va al di là di Praga e dei suoi cunicoli, ma dritta alla solitudine dello scrittore. Dove un “imperatore” si è fatto cane per spiegarci che la “libertà, fiore sdentato, è sempre un possesso”.
Perché quelli di Kafka sono tre racconti scritti da un “ricercatore” nel momento in cui, finita la Prima guerra, le parole ‘’sfuggivano a tutti’’. Sono le domande finali poste da Kafka a sé stesso e lasciate all’umanità in tre lunghi racconti a confronto con la morte, l’incomprensione dell’arte, l’oblio: il senso di una vita in poche parole, ma soprattutto in poche righe.
Siamo alla fine di un canto, o meglio di ‘’un fischio sottile’’ come quello di Josefine, che diventa “messaggio del popolo al singolo’’. Un racconto che mette per iscritto ‘’l’inadeguatezza insanabile’’ dell’arte dello scrivere, la sua ‘’fondamentale inutilità’’.
Da qui il senso di una “tana”, ciò che per natura rientra nel dominio dell’inutilità, forse, in quanto ‘’invisibile’’. Al pari della ‘’condanna’’, della “mortalità’’ perennemente presenti in Kafka.
Siamo in un mondo di ‘’oscure sensazioni’’ che vanno al di là dei ricordi. Di ‘’rivelazione e condanna’’ che sono il senso di quello che Kafka ha scritto, quindi della sua vita. In un luogo dove si perde ‘’la misura del significato’’, togliendo alla spiegazione la necessità della sua presenza. Qualcosa che va ‘’al di là della letteratura’’, e dentro la vita di chi ha tradotto nei suoi racconti l’incapacità di scendere a compromessi con la stessa.
È un mondo di cani, di scarabei, di topi, in cui Kafka – ci spiega Calasso – ha affrontato la superfluità dell’uomo: il suo essere succedaneo.
Ne L’animale della foresta però, la vena dello studioso lascia lo spazio alla figura che la letteratura la porta avanti e che allo stesso tempo sta alla sua radice: l’amatore. È una collezione di scritti che hanno il sapore dell’improvviso e il peso della riflessione. Unico modo, forse, per insegnarci a leggere, Kafka soprattutto. Quell’indole da ‘’ricercatore’’ – come il cane del racconto dello stesso scrittore, che diventa ‘’cane fra i cani’’ per indagare i suoi simili –, che gli ha permesso non tanto di scrivere su Kafka, quanto in Kafka.
Un testo del genere gode del suo fascino contraddittorio proprio per questo. Non è né uno né l’altro, è un laboratorio del neutro, un commento a tre racconti facenti parte de Il messaggio dell’imperatore.
Perché ci arrivino, quei racconti, quel senso, quel messaggio, quell’imperatore, servirà sempre, però, un editore: servirà sempre un Roberto Calasso.
L'animale della foresta
Roberto Calasso
ADELPHI EDIZIONI
VAI AL LIBRO- Genere:
- Listino:
- € 14.00
- Collana:
- Data Uscita:
- 18/04/2023
- Pagine:
- 0
- Lingua:
- EAN:
- 9788845936531