I funerali hanno molto da raccontare sulla società e la politica di un Paese. Ce ne parla Gian Piero Piretto a #PDESocialClub.
Giovedì 23 novembre alle 18.00 a #PDESocialClub si parla di storia, di URSS, assieme a un grande slavista al quale siamo assai affezionati, il geniale Gian Piero Piretto, che torna per i tipi di Raffaello Cortina Editore con L’ultimo spettacolo. I funerali sovietici che hanno fatto storia. Come sempre, la conversazione andrà in streaming sulle pagine Facebook, YouTube e Instagram di PDE e dell’editore, ma soprattutto sulle pagine Facebook delle librerie indipendenti.
Si parla di funerali, si parla di morti, ma attraverso morti e funerali si parla della vita in quel mondo così alieno, così lontano come fu e come è, oggi per noi, l’Unione Sovietica. C’è ovviamente il funerale di Stalin, il più famoso, il più citato e raccontato, con le centinaia, forse migliaia di morti soffocati, stritolati dalla folla accorsa da ogni angolo dell’impero per salutare il Piccolo Padre, con l’incredibile impasto, nelle stesse persone, di sollievo per la morte del tiranno e di spavento per il futuro incerto e persino in qualche modo di amore, come per un padre, davvero, violento e numinoso, ma pur sempre padre.
Prima però ci sono stati i funerali di Lenin, che tanto si era raccomandato di non fare della sua morte il primo episodio di un possibile culto della personalità, di non giocare con l’inevitabile risvolto religioso legato a ogni forma di rito. E si ritrova imbalsamato in un mausoleo a ridosso delle mura del Cremlino, oggetto di venerazione come fosse il corpo di un santo, forse di un dio.
Ci sono i funerali dei poeti, dal dandy “teppista” Esenin a Majakovskij, da Pasternak alla Achmatova, e quelli di Vysockij, il cantautore più amato, l’irriverente bohemien che aveva monopolizzato con i suoi nastri e le sue cassette tutti i magnetofoni da Odessa a Vladivostok, e poi gli eroi come Gagarin, anche lui morto di morte sospetta, come, parrebbe, quasi tutti i protagonisti di queste pagine. Non mancano un paio di defunti postsovietici, come Michail Gorbačëv, che all’Unione Sovietica mise fine, senza forse neanche troppo volerlo. La storia aveva già deciso per lui, probabilmente.
Non mancano le storie dei funerali qualunque, quelle degli uomini e delle donne che non comandavano, che non contavano (paradossale in uno stato che le classi, le gerarchie, le aristocrazie era nato per abolirle?), a loro volta rispondenti a norme e regolamenti precisi al dettaglio, ma soprattutto non mancano i morti del grande assedio di Leningrado, abbandonati a bordo strada, a muraglia, nell’impossibilità di scavare fosse comuni e persino di rimuoverli nel piovere di bombe, nell’impazzare di cecchini, nella stremata debolezza dei pochi addetti.
Come sempre nei libri di Piretto, analisi e racconto procedono con una vivacità di scrittura che fanno letteralmente danzare la pagina (correte a leggere le bellissime e strazianti pagine sulla morte di Prokof’ev, lo stesso giorno di Stalin, e del suo funerale lungo i tetti di Mosca!),mentre l’apparato iconografico raccoglie fotografie, dipinti, fotogrammi di film e documentari, copertine di riviste, caricature, dalle meraviglie della grafica postcostruttivista al calligrafismo realsocialista, alla forza epica dimolte immagini fotografiche.
Dicevamo all’inizio di un mondo alieno e lontano, ma Piretto ci ricorda quanto di quel mondo stia tornando d’attualità, marxianamente informa di farsa grottesca per quanto letale, con l’infinito regno di Vladimir Putin. E quindi L’ultimo spettacolo è un po’ meno un esercizio della memoria e più un manuale di riconoscimento, uno strumento semiotico: dati certi segnali, sarà bene concepire equivalenti preoccupazioni per l’oggi, per il qui e l’ora di un’Europa che torna a conoscere guerra e distruzione all’interno dei propri confini.
Un post scriptum: l’ultimo capitolo, Piretto lo ha aggiunto a libro già in bozze, si intitola “Il non funerale del capo della Wagner”, dedicato alla scomparsa di Prigožin e alla gestione dell’imbarazzante inumazione da parte del Cremlino.