La piuma del ghetto, edito da Gallucci, ripercorre la storia di Leone Èfrati, campione italiano di pugilato deportato nei campi di sterminio nazisti. Noi ce la facciamo raccontare da Antonello Capurso a #PDESocialClub.
Giovedì 13 giugno, alle ore 18.00, a #PDESocialClub parliamo di boxe, uno sport tanto nobile e antico, quanto infame e misera è stata la Storia con la vita di uno dei suoi protagonisti. La riviviamo in La piuma del ghetto. Leone Èfrati, dalla gloria al campo di sterminio, edito da Gallucci e in lizza per il Premio Bancarella Sport 2024. Ne parleremo con l’autore, Antonello Capurso, noto giornalista, saggista, poeta e autore teatrale, che proprio alla vicenda del pugile Leone Èfrati, ricostruita in anni di ricerche documentarie e interviste, ha dedicato come autore e regista anche uno spettacolo teatrale, “L’Uragano, storia di Leone Èfrati”, prodotto dalla fondazione Museo della Shoah.
Il protagonista di questa storia realmente accaduta è Leone Èfrati, detto “Lelletto”, un ebreo nato e cresciuto nel ghetto di Roma, vendendo lacci – otto per una lira – fra strade “cariche di storie e di fame’’ in compagnia di friggitori, osti, stracciaroli, robivecchi e ricordari, persone che davano animo, colore e forma a Piazza Giudia, una palestra di vita che insegnerà a Èfrati come la sua storia sarà sempre legata a un’immediata sopravvivenza, all’istinto di combattere per non soccombere. Preciso e veloce come un uragano, fra tamburelli dei punching ball, rimbombi dei sacchi e picchiettii delle corde, classe, talento e tecnica lo portano infatti dalla palestra Audace di via Frangipane a scalare le vette della categoria peso piuma, diventando uno dei più forti pugili italiani e sfiorando addirittura il titolo mondiale negli Stati Uniti.
Èfrati incarna agli occhi di tutti la vessazione di un popolo eterno quanto la città in cui è nato, un popolo legato alla sensazione di doversi sempre difendere, di non poter mai abbassare la guardia: paradossalmente anche ‘’il cazzottatore come lo voleva il duce”, se non fosse che a spingerlo nelle sue vittorie non è cieco idealismo, semmai la povertà, la miseria. Sullo sfondo dei match vinti uno dopo l’altro, una “nuvola nera” accompagna infatti repentina e precipitosa la vita del nostro campione, un istinto bestiale che si insinua nelle case e lastrica le vie che arrivano fino a Berlino.
E parallelamente alla storia di Èfrati, Capurso ripercorre con precisione proprio la tracotante e arrogante superbia di un nazifascismo urlante nella sua crescita. È un male che si radica nei cuori di un “paese affamato”, mentre Èfrati vince, diventando la nuova stella del pugilato italiano, ‘’la gioia tricolore’’ dei giornali di un partito che a parole gli accorda pure grandi elogi, le stesse parole che lo cancelleranno dalla cronaca e dagli annuari sportivi durante le sue vittorie negli Stati Uniti, le stesse parole che nel tragico manifesto affermeranno che “gli ebrei non appartengono alla razza italiana”, le stesse che in questa storia ci ricorderanno che nemmeno lo sport è solo un gioco, le stesse che lo porteranno a essere rinchiuso a Regina Coeli e poi a combattere – per il divertimento di chi li gestiva – dentro a dei ring in cui non esistevano regole, leggi e giustizie: quelli dei campi di sterminio di Auschwitz e di Ebensee/Mauthausen.
La piuma del ghetto è allora il viaggio intrapreso da Capurso tra polvere, sudore e ricordi, ricostruito cronologicamente con l’accuratezza dello storico e con il piglio veloce di una cronaca sportiva, senza tuttavia risparmiarsi colpi poetici che ci lasciano boccheggianti sul posto, ritinteggiando allo stesso tempo il ritratto di una Roma che è stata vile e meschina a volte, solidale e umana in altre, mentre il male sconvolgeva i confini tra bestie, numeri ed esseri umani. Innumerevoli sono infatti le fonti utilizzate da Capurso per ricostruire la vita di Leone Èfrati: giornali italiani e americani, racconti di chi l’ha conosciuto, documenti, ricordi famigliari, fotografie, libri e archivi, telegrammi e verbali di processo. Perché in ogni cosa è racchiusa una memoria, come ben ricorda Capurso, e “gli oggetti non dimenticano”. Perché ricordare allora? Perché scrivere ancora? La risposta sta proprio nei brevissimi cinquanta capitoli che anche Capurso, a modo suo, ha giocato a tempi di riprese pugilistiche, sul ring di un tempo presente, a testa altissima contro un avversario difficile da battere e che chiama in causa tutti: la caduca memoria degli esseri umani.
Ma la storia di questa leggenda umana e sportiva, che portava il nome di Leone Èfrati, ce la faremo raccontare direttamente da Antonello Capurso, giovedì 13 giugno alle ore 18.00, sulla pagina Facebook di PDE, di Gallucci, e delle tante librerie che decideranno di condividere la conversazione. La diretta potrà come sempre essere seguita anche sul sito, sul canale Youtube e sulla pagina LinkedIn di PDE.