L’invenzione di un’icona raccontata in ottantatré fotografie, diciannove film, dodici attrici, un solo regista: Alfred Hitchcock
Quando sentiamo parlare di bellezza “hitchcockiana”, sappiano subito cosa dobbiamo aspettarci. Quell’aggettivo mutuato dal nome del maestro del brivido è entrato a far parte del lessico quotidiano. Sta lì per indicare una donna dalla bellezza raffinata e discreta, ma allo stesso tempo dalla sensualità sconvolgente. Una donna «fredda fuori e luminosa dentro», scrive il giornalista tedesco Thilo Wydra. Soprattutto, una donna bionda.
Naturalmente, non tutte le attrici protagoniste dei film di Alfred Hitchcock sono bionde glaciali. Lo sono certamente Joan Fontaine, Ingrid Bergman, Grace Kelly, Kim Novak, Eva Marie Saint, Vera Miles, Janet Leigh, Tippi Hedren.
Shirley MacLaine è, invece, una vivace ventenne dai capelli cortissimi e rossi, mentre Karin Dor una mora tipicamente Swinging Sixties. E anche Julie Andrews e Doris Day, la everybody’s darling d’America, sembrano agli antipodi del modello.
Eppure, tutte queste donne hanno qualcosa in comune. Il fascino rubato dalla macchina da presa e portato sul grande schermo, che attraverso lo sguardo del regista inglese naturalizzato americano si è trasformato in icona.
C’è probabilmente un collegamento tra questa concezione dell’attrice come materia da adattare a un canone estetico preciso, ingranaggio fondante di un meccanismo narrativo che gioca con gli stereotipi, in continua tensione tra «il desiderio e la sua repressione», e il noto rapporto conflittuale tra Hitchcock – accusato spesso di essere misogino e ossessivo – e le attrici.
Un lato controverso del regista a cui il critico cinematografico Paolo Mereghetti accenna nella prefazione dell’edizione italiana di Le bionde di Hitchcock, elegante volume a metà tra saggio e libro fotografico scritto da Wydra e pubblicato da Jaca Book.
Thilo Wydra, d’altro canto, sembra fare un’operazione opposta rispetto a quella di Mr. Hitch. Prova a riportare queste donne al di fuori dell’icona costruita intorno a loro. Ne traccia i profili e ne analizza il ruolo nel cinema di suspense e nell’opera del regista.
Il critico ci racconta, così, le loro occasioni, i successi e gli scontri attraverso una serie di storie accadute sugli stessi set sui quali sono state scattate le ottantatré fotografie a corredo del saggio.
Strutturato come un film, con tanto di titoli di testa e di coda, Le bionde di Hitchcock si presenta diviso in capitoli dedicati a ognuna di loro. Qui, le attrici sono raccontate e analizzate in ogni dettaglio da Wydra, che rintraccia l’archetipo del fascino hitchcockiano in Ingrid Bergman e, soprattutto, nella mai dimenticata Grace Kelly, da ricercare in tutte le altre.
Così, attraverso testimonianze, aneddoti e immagini, Thilo Wydra accompagna il lettore in un viaggio dietro le quinte del processo creativo del regista che ha codificato le regole del cinema di suspense.