Ci sono dei semplici gesti che consideriamo ormai parte integrante della nostra routine. Cercare su Google una ricetta, gli orari del cinema, una recensione di quel libro che ci interessava o articoli su un argomento che volevamo approfondire. Oppure fare acquisti on line, impostare il nostro itinerario su Maps o semplicemente indossare uno smartwatch per tracciare la nostra corsa del mattino. Commentare il fatto del giorno su Facebook, discutere di politica sotto un post, caricare una foto buffa su Instagram.
Potremmo andare avanti all’infinito, perché da quanto il web è diventato partecipativo (il famoso 2.0), parte della nostra vita si è svolta – anche – su internet. Sui motori di ricerca, negli e-commerce, sulle piattaforme social.
Tuttavia, quelle che per noi sono azioni quotidiane con le quali possiamo metterci in contatto con gli altri o avere facile accesso a tutta una serie di nozioni, per le società private e i governi sono informazioni. Una miniera di informazioni. Non a caso, i Big Data vengono chiamati “nuovo petrolio”.
E noi, con i nostri gusti e interessi, non siamo nemmeno più visti come semplici consumatori. Siamo diventati la materia prima da cui spremere i dati, per prevedere i comportamenti e orientare i consumi. Si tratta di una nuovo tipo di capitalismo, parassitario, che si nutre di ogni aspetto dell’esperienza umana.
Shoshana Zuboff, docente della Harvard Business School, lo chiama “capitalismo della sorveglianza“. Già autrice di In the Age of the Smart Machine, saggio del 1988 che aveva predetto l’impatto dell’intelligenza artificiale sulla società odierna, ha passato gli ultimi otto anni a studiare i meccanismi di questa nuova fase economica della storia. Le sue analisi e riflessioni sono raccolte in un libro che ora possiamo leggere in italiano grazie a Luiss University Press.
Sulla copertina dell’edizione italiana campeggia, perentorio, un grande occhio, realizzato dall’illustratore Noma Bar. In questo caso, non si tratta dell’occhio del totalitarismo di orwelliana memoria, ma di quello che Zuboff chiama instrumentarianism: un potere strumentale che sorge come conseguenza di un sistema di raccolta dei dati atto a generare profitto attraverso la manipolazione di fini e mezzi. Dunque, in grado di minacciare l’autonomia del singolo e la democrazia stessa.
Zadie Smith ha descritto questo saggio come «Il Capitale di questa generazione» e non pensate che sia un’esagerazione. Il capitalismo della sorveglianza è infatti già considerato da molti l’opera definitiva sull’era che stiamo vivendo.