Cosa c’è di più affascinante del racconto di un fiume? Dal Mississippi di Mark Twain al placido Don di Šolochov, dal Danubio di Claudio Magris al Po di Ermanno Rea, i fiumi sono i condotti attraverso cui scorre la linfa delle nazioni e dei continenti, trasportano la cultura e la storia, attraversano lo spazio ma anche il tempo, uniscono e distinguono. Oggi la lista dei grandi libri sui grandi fiumi si arricchisce di un nuovo fascinoso capitolo. Si tratta di Il fiume senza sponde (La nuova frontiera) che l’autore sottotitolò “Trattato immaginario”.
L’autore è quel Juan José Saer argentino morto a Parigi settantaduenne nel 2005 lasciando dietro di sé una lunga scia di romanzi, ben tre dei quali compaiono tra i cento migliori libri in lingua spagnola degli ultimi venticinque anni. La nuova frontiera ha già pubblicato quattro delle sue opere e con questo “trattato immaginario” farà la gioia di non pochi lettori.
Il fiume senza sponde è, va da sé, il Rio de la Plata, gigantesco corso d’acqua formato dalla confluenza dei fiumi Uruguay e Paraná, la cui superficie è pari a quella dell’Olanda e sulle cui sponde oggi si affacciano due metropoli, Buenos Aires e Montevideo. Eppure, nel 1516, il Río de la Plata e le terre che lo circondavano erano desolate. Il suo scopritore, Juan Díaz de Solís, colpito dalla vastità e dalla dolcezza delle sue acque lo battezzò “Mar Dulce”. Alle sue spalle si apriva una sterminata pianura che gli indigeni chiamavano pampa, ma che tutti gli altri designarono con una parola molto meno prestigiosa: il deserto. Juan José Saer dedica al fiume più importante della sua Argentina il racconto della ricerca quasi impossibile dell’identità di quelle terre e delle persone che le abitano. Ripercorrendo la storia di un fiume, Saer ci narra la storia di una nazione, dalla fondazione di Buenos Aires alla dittatura, attraverso quattro capitoli che seguono il succedersi delle stagioni australi, celebrando così due figure: il Río de la Plata e la letteratura.