Torna da Adelphi il nostro amato Manganelli. In veste di recensore
Da Adelphi è appena uscito un golosissimo regesto di saggi brevi, articoli, recensioni scritti negli anni per diverse testate da Giorgio Manganelli. Il libro, curato va da sé da Salvatore Silvano Nigro, si intitola Concupiscenza libraria e chi si regalerà la fortuna di leggerlo capirà quanto adeguato sia questo titolo. Ingordo come un goloso rinchiuso in una pasticceria, Manganelli non si nega niente, assaggia di tutto, riesce a fare dello stile, del Grande Stile, persino nell’umile misura e funzionalità della recensione, e al tempo stesso a offrirci scorci interpretativi di vertiginosa intelligenza.
Lo scrittore recensore
Classici latini in nuove edizioni; minori della letteratura italiana del Rinascimento e del Barocco, di cui sospettiamo una irredimibile illeggibilità, non fosse che raccontati da Manganelli sembrano tutti agognabilissimi giardini di delizie; critici letterari e saggisti persino più stravaganti di lui, da Praz a Camporesi; dizionari specialistici come il Vocabolario marino e militare del Guglielmotti, così saccheggiato da D’Annunzio; e poi poeti e romanzieri, novellisti estrosi e memorialisti inattendibili; antichi, meno antichi e assai contemporanei da ogni angolo del mondo.
L’elenco è impossibile, e qui sotto trovate larga messe di citazioni, ma tanto per dare un’idea, Malamud e Lautréamont, Sanguineti e John Keats, Rajberti e Apicio, Balzac e Dylan Thomas, Meyrink e Achille Campanile, Ferlinghetti e Kadaré, e persino i gialli, e pure la fantascienza, e non manca neppure, feroce e divertentissima, una spietata stroncatura di Cassola (in fondo, il Manganelli, aveva aderito al Gruppo ’63!).
La curiosità di Manganelli è insomma insaziabile e le sue recensioni sono una lettura fantastica persino a prescindere dall’occasione critica che le determina. La sua lingua è sontuosa e gemmante, l’argomentazione divagante, oratoria, sonora, si fatica a resistere alla tentazione della lettura ad alta voce.
Ma mentre svolge le sue volute digressive, Manganelli non perde mai di vista l’obiettivo: arriva sempre il momento in cui all’ultima svolta del discorso, ci ritroviamo a sorpresa esattamente là dove il critico voleva arrivare: al nodo ultimo e illuminante su un autore e il suo libro, sia immagine epifanica e icastica o concettoso ragionamento.
Manganelli e l’editoria
E non mancano alcune sorprese, specie per chi si occupi di editoria. Come non segnalare il bell’articolo sull’anniversario della Penguin, il gigante editoriale inglese che allora era “ancora” una casa editrice di tascabili. Ma ascoltiamo Manganelli: “E certo senza i «Penguin» la democrazia inglese, la vita intellettuale delle masse, sarebbero più povere, e di gran lunga. Verrebbe voglia di chiederci se a casa nostra sarà mai possibile un’operazione del genere, su analoga scala”. Questo articolo, Manganelli lo pubblica su Tempo Presente il 6 ottobre del 1956. In Italia bisognerà aspettare il 1965 per veder nascere qualcosa di simile: e saranno gli Oscar Mondadori. E per dire, ancora nel 1964 un filosofo e sociologo della cultura come Lucien Goldmann guarderà con sospetto alle collane tascabili come “enciclopedia senza valori propri e caratteristici”.
Per rimanere in tema, allora, quanto è spregiudicato e profondamente democratico l’articolo che dedica, su Tuttolibri de La Stampa del 13 gennaio del 1979 alla pubblicazione di una nuova edizione dell’Ulysses di Joyce a inaugurare gli Oscar Biblioteca? “Vorrei insistere su questo punto: la pubblicazione di «quel» libro in particolare, in una collana a grande diffusione, vale soprattutto come una dichiarazione di principio: una sorta di diritto umano ad accedere a quanto di più intenso, di più ostico, di audace si inventò nella letteratura. «Le masse» non vanno nutrite con libri ottimisti e facili, per tutti, ma va per loro imbandito il banchetto totale, i cibi più ricchi, le bevande invecchiate mezzo secolo”.
Dieci piccoli assaggi
Abbiamo pensato che il modo migliore per entrare in questo meraviglioso libro di libri fosse semplicemente di trascegliere assaggi da una selezione di dieci capitoli sui quasi centoquaranta che ne compongono il sommario. Il che oltretutto ci concede il lusso di riscoprire assieme a Manganelli una manciata di testi di indiscutibile imperdibilità.
Ovviamente Manganelli presenta titoli pubblicati da molti, diversi editori. Ma siccome anche la nostra generosità ha dei limiti, abbiamo deciso di estrarre le nostre dieci citazioni da altrettante recensioni di libri presenti nel catalogo di Adelphi. Una al giorno.
Buona lettura. E ricordate, appena riaprono le librerie, queste concupiscenze librarie, fatele andare esaurite!
Elena Croce, Ricordi familiari
“Accade talora che i Grandi Uomini abbiano dei figli. Fin dai primi, indifesi principi, sui pannolini di costoro, maculati di giudiziose, cattivanti deiezioni, sulle pappe energetiche e vessatorie, e i girelli prudenziali quanto frustranti grava l’ombra solenne della Storia. (…) È un libro caldo di concrete memorie, affollato di persone e gesti e luoghi; ma non è un libro intenerito o languido; e sono, a mio avviso, suoi pregi, da cosa autentica e viva, quella dignità asciutta, e la visione cruda e minuta, di esattezza maliziosa, misurata sulle dimensioni di membra infantili e, soprattutto, quel sentore di sommesso, ma bene avvertibile rancore familiare. In queste pagine, Benedetto Croce ci si presenta nella sua enorme, massiccia compattezza fisica e psicologica: è in primo luogo corpo, e voce, gesti, estrosità ed umori.”
Gitta Sereny, In quelle tenebre
“In quelle tenebre è un libro orribile e distensivo, e da questa lettura velocissima, furibonda, si esce con la bella calma dei fucilati. (…) Questo racconto ha un eroe, in tutti i sensi di questa parola malnata: è Franz Stangl, comandante del campo di Treblinka, che Gitta Sereny intervistò nel carcere di Düsseldorf, per molte e molte ore; letteralmente fino alla morte di Stangl, che morì di infarto poche ore dopo un colloquio, uno dei più lucidi e rovinosi. (…) Dissento dalla nota editoriale: non è un «sordido uomo d’ordine»; da questo libro, felice incontro di idillio e genocidio, risulta che l’ordine è sordido e, come il potere, rende tale chiunque gli si accosti.”
Lope de Vega, La Gattomachia
“Mi pare del tutto evidente che i gatti, intesi come felini da studiare in laboratori di naturalisti, non esistono. I gatti non sono gatti. Sono miniaturizzate figure mitologiche che entrano nelle nostre case, affollano le strade, qui a Roma alloggiano in mezzo alle rovine, affollano i vicoli della città vecchia. Già questo amore dei luoghi intimi o antichi, cioè dei luoghi più sottilmente umani, non può non insospettire: i gatti amano insieme la mollezza e la selvatica grazia dei luoghi affranti dal tempo; praticano i vizi colti della gola e del sonno, ma insieme sono eremitici, forastici, diffidenti, taciturni.”
Katherine Mansfield, Tutti i racconti
“Il ritorno di Katherine Mansfield ha tutta l’aria di essere definitivo. Torna secondo l’atto, il modo che le fu congeniale sempre, da ospite, da straniera, con un che di esotico e di eccessivamente esatto, questa donna che venne ad abitare il nostro mondo per trentaquattro anni, la perenne, consunta malata, morente innamorata della vita, cui ora spetta l’insopportabile, angusta eternità della Gloria.”
Ernst Bernhard, Mitobiografia
“È un libro postumo, non per qualche incidente casuale, ma essenzialmente tale, da sempre; e che dunque andava fatto e poteva esser fatto solo a quel modo: con pazienza trascrivendo frammenti, appunti, meditazioni tentate e peritosamente protratte, conversazioni registrate, sogni interpretati; ed è gioco, o ammicco, che certo sarebbe piaciuto a Bernhard, ilare e furbo, che questo gran lavoro, preparato con lunga devozione da Hélène Erba-Tissot, appaia come prima, originaria edizione, nella versione italiana, e non nell’originale tedesco: un altro travestimento.”
Leonora Carrington, Il cornetto acustico
“Un gioco vertiginoso, un intreccio di stravaganze che si legano con estrema ragionevolezza, una miscela incantevole di buona educazione e di follia. Come negarlo? un matto bene educato è irresistibile. La signora Leatherby, protagonista e narratore del Cornetto acustico partecipa con delicata equanimità della follia e della buona educazione; per di più ha novantanove anni, età numericamente significante, e è detestata dai nipoti, che la considerano un ingombrante vegetale, qualcosa che dovrebbe essere «morto», e che sbaglia gravemente a non esserlo.”
Daniel Defoe, Robinson Crusoe
“Il Robinson Crusoe fu un capolavoro ignaro di sé; Defoe non seppe mai di aver scritto uno dei grandi libri dell’Occidente; questa innocenza rende il libro a sua volta una sorta di accadimento, un evento dell’adesso che continuamente allude ad un ulteriore, definitivo tempo in cui tutti gli «adesso» riposeranno. Defoe lo scrisse perché aveva bisogno di denaro per motivi molto domestici – mi pare che una figlia dovesse sposarsi. Trovo estremamente consolante questa situazione, nella quale la mortificazione si incontra con il destino: anche Defoe è naufragato nella propria grandezza, gli venne affidato il genio perché potesse campare sé e la propria famigliola, aveva freddo e gli vennero consegnate le chiavi roventi dell’inferno.”
Hermann Hesse, Una biblioteca della letteratura universale
“Non so se sia ragionevole richiedere e imporre la lettura obbligatoria di un libro dal quale si può trarre l’insegnamento che libri obbligatori non esistono, né possono esistere. Comunque, in una maniera velleitaria e insieme un poco iraconda, è appunto quello che vorrei fare: brutalmente costringere a legger questo libretto di Hermann Hesse. (…) Agli inizi del secolo, quest’uomo malinconico e afflitto da una lieve tendenza alla levitazione, aveva capito come nei programmi di cultura obbligatoria non c’era posto per quel disordine psicologico, quella capricciosità dionisiaca, che presiede tanto alla lettura che alla scrittura.”
Anna Maria Ortese, L’Iguana
“Forse in quegli anni potevamo polemizzare un po’ di meno sui libri di Bassani e Moravia, e leggere L’Iguana. Nell’opera letteraria dell’Ortese, L’Iguana è un libro del tutto anomalo; non assomiglia a niente, così come il genio non assomiglia al bravo scrittore. È un’altra cosa, assolutamente. Basta leggere tre, quattro pagine, e vediamo scomparire scaffali su scaffali di libri contemporanei. (…) questo linguaggio si muove con alacrità animale, e insieme con una complessità di suoni, di echi, di stridori e rintocchi che è per l’appunto una di quelle invenzioni che non si possono né imparare né insegnare.”
Oliver Sacks, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello
“Leggo il nome dell’autore sulla copertina verde: Oliver Sacks. Il nome non mi dice nulla, inglese o tedesco? Il titolo mi incuriosisce: L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello. Un libro di nonsense? Di giochi pericolosi? Un giallo? Fantascienza? Parapsicologia? Un frammento inedito delle Mille e una notte? Ecco, ci siamo vicini. Questo libro ha a che fare con Le mille e una notte; anzi lo dice subito l’autore stesso, il misterioso misterico Sacks, in una citazione a mo’ di epigrafe: «Parlare delle malattie è un intrattenimento da Mille e una notte». Vorrei precisare; l’intrattenimento si alimenta di malattie di un tipo speciale; infatti Sacks, come leggo nel risvolto, è un neurologo.”