Riapre la mostra dedicata a Massimo Cantini Parrini, vincitore del David di Donatello 2020 per i costumi di Pinocchio. Ecco alcune immagini dal libro-catalogo di Silvana
Vi siete mai soffermati a riflettere sull’importanza dei costumi nella costruzione di una rappresentazione cinematografica? Non si tratta solo di semplici oggetti di scena, ma di veri e propri dispositivi capaci di veicolare significati e costruire mondi.
Abiti, certo, ma molto diversi da quelli che indossiamo ogni giorno: vengono creati allo scopo di diventare immagini, accompagnare lo spettatore nel passaggio tra realtà e finzione, condurlo in un altrove ricco di particolari e coerente.
I costumi dei film raccontano, visivamente, una storia nella storia, percepita spesso inconsciamente. Funzionano come un sistema di segni, inteso nel senso semiotico di «qualcosa che sta per qualcos’altro». E in un certo senso, i costumisti stessi possono essere considerati a loro volta narratori.
Massimo Cantini Parrini è un maestro nel fare tutto questo. Unico costumista italiano ad aver vinto tre David di Donatello – premi che l’Accademia del Cinema Italiano dedica annualmente al meglio della produzione nazionale – per tre anni consecutivi con Il racconto dei racconti di Matteo Garrone, Indivisibili di Edoardo De Angelis e Riccardo va all’inferno di Roberta Torre, pochi giorni fa ha conquistato la sua quarta statuetta con un altro film di Garrone, Pinocchio.
Proprio al suo straordinario lavoro sui costumi di Pinocchio, uscito nelle sale il 19 dicembre distribuito da 01 Distribution, è dedicato un prezioso volume dal titolo Pinocchio nei costumi di Massimo Cantini Parrini, a cura di Chiara Lastrucci e Clara Carta.
Il libro, pubblicato da Silvana Editoriale, è collegato a una mostra inaugurata a dicembre al Museo del Tessuto di Prato, che in questi mesi ha dovuto chiudere le proprie porte al pubblico a causa dell’emergenza sanitaria.
Oggi, 19 maggio, il Museo riapre. E con lui anche la mostra, prorogata fino al 25 ottobre. Inoltre, per celebrare la riapertura e incentivare gli spettatori a visitare di nuovo i luoghi della cultura, sempre nel rispetto delle misure di sicurezza, l’ingresso sarà gratuito fino al 3 giugno 2020.
«Siamo pronti per ripartire adottando tutte le misure di sicurezza per assicurare la salute dei visitatori, come previsto dal Decreto del Governo», ha detto Francesco Marini, Presidente della Fondazione Museo del Tessuto.
«È una grande soddisfazione poter annunciare la proroga della mostra proprio a ridosso della celebrazione della cerimonia per la consegna dei David di Donatello, che si è tenuta in streaming venerdì 8 maggio scorso», hanno aggiunto poi il Presidente Marini e il Direttore del Museo Filippo Guarini, «visto che Pinocchio ha ottenuto ben cinque statuette, tra cui quella per i costumi. Un motivo in più per il pubblico per tornare a visitare la mostra».
Chi è Massimo Cantini Parrini
Definito da molti «archeologo della moda», Massimo Cantini Parrini nasce a Firenze nel 1971. È la nonna materna, sarta di professione, a trasmettergli la passione per i costumi e insegnargli il mestiere.
Da bambino, infatti, finisce per passare ore in sartoria, incantato da quei grandi rotoli di stoffe bidimensionali che prendono forma sopra il manichino: «per me un sogno, quasi una magia» dirà spesso.
E magia, col senno di poi, sembra proprio la parola giusta per descrivere il futuro lavoro di Cantini Parrini con Garrone.
A 13 anni già ha le idee chiare: interessato alla storia del costume, compra in un mercatino un vecchio abito da sposa e, con l’aiuto della nonna, lo trasformarlo in un vestito dei primi del Novecento.
Costumista e collezionista di abiti d’epoca
Così, diventa collezionista di abiti d’epoca, affascinato dalla capacità di questi indumenti non solo di raccontare la storia dei proprietari, ma anche quella della società in cui sono stati confezionati. Oggi la sua raccolta vanta più di 4.000 pezzi, che spaziano dal 1630 al 1990.
Studia all’Istituto Statale d’Arte di Porta Romana e al Polimoda. Si laurea in Cultura e Stilismo della moda presso l’Università di Firenze, poi viene ammesso al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, diventando allievo nel corso di costume del leggendario Piero Tosi, costumista per Visconti, Bolognini, De Sica, Fellini, Cavani, Zeffirelli e Pasolini.
Il suo talento viene presto riconosciuto, tanto da venire assunto, giovanissimo, nella Sartoria Tirelli come assistente costumista, collaborando con Gabriella Pescucci a grandi produzioni internazionali come I miserabili di Bille August, Sogno di una notte di mezza estate di Michael Hoffman, La fabbrica di cioccolato di Tim Burton e La leggenda di Beowulf di Robert Zemeckis.
Nel corso della sua carriera, Cantini Parrini realizza costumi per i film di Ettore Scola, Renzo Martinelli, Terry Gilliam, Paolo Virzì, Roberta Torre, Edoardo De Angelis e i fratelli D’Innocenzo (suoi anche i costumi dell’ultimo, acclamato, Favolacce, uscito in questi giorni direttamente in streaming a causa della pandemia).
Massimo Cantini Parrini e Matteo Garrone
Poi c’è la collaborazione con Matteo Garrone, iniziata con il film forse più particolare e coraggioso, Il Racconto dei racconti tratto da Lo cunto de li cunti di Basile. Un fantasy come non se ne fanno più – o come non se ne sono mai fatti – con cui il regista sembra aver aperto un nuovo dialogo tra tradizione popolare italiana e cinema contemporaneo, con lo sguardo puntato verso l’immaginario fantastico del Mario Monicelli di Brancaleone o Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno.
Suoi sono i costumi dell’opera successiva di Garrone, Dogman, racconto livido e disperato della provincia romana ispirato a un fatto cronaca diventato mitologia urbana, il delitto del Canaro della Magliana. Con Dogman, nel 2018, il costumista fiorentino vince anche l’European Film Awards per i migliori costumi.
Forse non si dovrebbe nemmeno parlare di collaborazione tra Garrone e Cantini Parrini, ma di sodalizio artistico: c’è qualcosa nella poetica dell’autore romano che Cantini Parrini riesce a cogliere più di altri e tradurre in abiti.
Una sorta di tensione tra iperrealismo e surrealismo della narrazione. Si può dire che sia lo stesso cinema di Garrone a nutrirsi del senso di straniamento creato da due atteggiamenti opposti, che convivono in una sorta di equilibrio “magico”.
Pinocchio
E questa magia, come dicevamo, avviene anche nei costumi di Cantini Parrini. Basta osservare quelli di Pinocchio, il film con cui Garrone ha provato a realizzare il sogno di una vita: portare sul grande schermo la propria versione di uno dei romanzi italiani più letti nel mondo, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino di Carlo Collodi.
L’influenza dei disegni di Enrico Mazzanti, il primo illustratore del romanzo pubblicato nel 1881, emerge chiaramente in questi costumi usciti da un mondo fantastico abitato da animali antropomorfi e fate dai capelli turchini. Tuttavia, si tratta sempre di abiti calati nella cruda realtà, visibilmente usurati, coperti della terra di un mondo contadino con problemi quali la fame e la povertà.
E così, il completo rosso di Pinocchio (interpretato da un giovanissimo Federico Ielapi), il frac di lino consunto di Geppetto (Roberto Benigni), i completi logori del Gatto e le Volpe (Massimo Ceccherini e Rocco Papaleo), il cappotto impolverato del burbero Mangiafuoco (Gigi Proietti), il vestito ingrigito di garza di cotone della Fata adulta (Marine Vacth), raccontano le loro storie senza bisogno di parole, semplicemente diventando immagini sullo schermo.
La mostra
Tutti questi costumi di Pinocchio sono esposti in anteprima assoluta al Museo del Tessuto di Prato, in una mostra che raccoglie trentadue capi. Venticinque sono stati realizzati dalla Sartoria Tirelli, cinque dalla Sartoria Costumi d’Arte Peruzzi, due da Cospazio 26, mentre le parrucche sono opera di Rocchetti e Rocchetti.
Il percorso della mostra è articolato in due sezioni. La prima è dedicata all’intero lavoro creativo di Massimo Cantini Parrini e alla sua attività di collezionista di abiti d’epoca, raccontata dallo stesso costumista in alcune interviste.
Grande attenzione è riservata al racconto dell’aspetto artigianale del mestiere e del minuzioso lavoro di ricerca che precede la realizzazione di ogni singolo capo.
Sono qui esposti numerosi bozzetti di abiti, campioni di tessuto e sette capi d’abbigliamento storici del XVIII e XIX secolo provenienti dalla collezione personale di Cantini Parrini, che possono essere considerati fonte d’ispirazione per alcuni abiti realizzati per il film.
Nella seconda parte dell’esposizione i protagonisti indiscussi sono invece i trentadue costumi realizzati per i personaggi principali di Pinocchio, accompagnati da immagini tratte dal film stesso e dalle riproduzioni di alcune scenografie.
I costumi di Pinocchio
Analizzare i costumi del film di Garrone è come fare un viaggio nel tempo. Per il costume di Geppetto, ad esempio, Cantini Parrini si è ispirato al costume popolare toscano, con richiami napoleonici; la piccola giacca del Grillo Parlante sembra venire dagli anni Venti dell’Ottocento; gli otto burattini di Mangiafuoco rievocano la Commedia dell’Arte; i due abiti della Fata Turchina, da bambina e da adulta, richiamano l’Ottocento romantico. E così via.
Al centro del percorso c’è il costume in jacquard increspato del burattino, ricavato da una vecchia coperta da Geppetto. Garrone, infatti, ha dovuto rinunciare al tradizionale abito di carta e al cappello di mollica di pane per esigenze di copione (sarebbe stato impossibile gestire i cambi d’abito, usando materiali tanto deperibili).
Cantini Parrini ha così realizzato un indumento dalla forma semplice e un colore, il rosso, che rimanda a temi centrali del romanzo, come rabbia, amore e vergogna.
Il libro di Silvana Editoriale
Curato da Chiara Lastrucci e Clara Carta e pubblicato da Silvana editoriale, che nel 2010 aveva portato in libreria un’edizione del romanzo di Collodi illustrata dal pittore Romano Rizzato, Pinocchio nei costumi di Massimo Cantini Parrini è molto più di un catalogo.
Si tratta di un vero e proprio saggio, che esplora tutti gli aspetti dell’arte di Cantini Parrini, attraverso alcune interviste e approfondimenti.
I testi sono scritti dallo stesso Direttore del Museo del Tessuto di Prato Filippo Guarini, dal costumista e scenografo Quirino Conti, dal critico cinematografico Enrico Magrelli, dalla storica del costume Cristina Giorgetti e dalla conservatrice del Museo Daniela degl’Innocenti.
Dalle fonti d’ispirazione al processo creativo, passando per le tecniche di realizzazione degli abiti di scena, la scelta delle fogge, i trattamenti di invecchiamento, sono tanti i temi affrontati in questo volume curato e ricco riproduzioni fotografiche, in grado di gettare nuova luce su uno degli aspetti più importanti della narrazione audiovisiva.
Una lettura imprescindibile, per tutti gli appassionati di cinema, moda, linguaggi visivi. O semplicemente per chi ha amato la storia del burattino che sognava di diventare un bambino vero.
Per info e prenotazioni Museo del Tessuto Via Puccetti, 3 Prato. Tel. 0574/611503 E-mail info@museodeltessuto.it www.museodeltessuto.it Nuovi orari Covid 19 dal 19 maggio al 2 giugno inclusi ma-me-gio: 16-20 ve-sab-dom: 10-20 Ingresso gratuito fino al 3 giugno incluso