Giulio Cogni
Tutte le creature nascono dal cibo, inteso come cibo spirituale e materiale, in un continuo rito di sacrificio universale dell'Essere per la vita.
Nel suo supremo senso, la fame di cibo non è meramente fame di questo o di quello ma fame di armonia, cioè di unità. Quando l'armonia è raggiunta, la "fame" apparentemente cessa, con la realizzazione dell'Unità energetica. Al di là delle forme e degli apparenti cibi, non vi è che la dualità erronea o l'Unità interiore raggiunta, cioè l'armonia di sé, di cui tutte le apparenti forme non sono che simboli. Il bisogno di amare è anch'esso fame di Unità, sia che tu venga a me (mio cibo) sia che io mi dissolva in te (tuo cibo): nell'Unità raggiunta non c'è che l'Uno. In realtà noi non siamo che immagini: ciò che realmente "è" è l'Essere. Di qui il significato supremo della frase di Cristo: "chi mangia la mia carne e beve il mio sangue sta in me e io in lui." Nello stesso senso l'Autore interpreta il canto della Taittiriya Upanishad: "Io sono il cibo...e colui che mangia il cibo...è nel cuore dell'immortalità". La gioia dell'amore è nel donarsi alla fame dell'altro e assumere il dono dell'altro, annullando l'io e l'altro nell'Uno.