Paolo Mossetti
Negli anni Dieci, l'amministrazione della nuova sinistra napoletana ha cercato di contrastare l'infame reputazione della città con l'aiuto di circostanze favorevoli, di un'imprenditoria furba, della mancanza di avversari politici e della buona volontà di chi è «rimasto». Sono nate così alleanze controverse tra la borghesia in decadenza e i nuovi proletari, sullo sfondo degli intrighi di Napoli, dei suoi mutamenti sociali, della corsa alla supremazia nella febbre del turismo e dei brand culinari. Ma è solo all'alba di questo decennio, in una Napoli svuotata dalla pandemia e inaspettatamente nitida, che emergono le conseguenze di una trasformazione che già Marx, nei suoi Grundrisse, aveva profetizzato. Paolo Mossetti scrive un diario che è insieme preciso e stralunato, con lo sguardo di chi, tornando, è costretto a riconoscere i luoghi della propria storia. La sua voce innamorata e caustica ci guida in un reticolo di strade, di professioni antiche che tentano di reinventarsi e di nuove che emergono. L'affresco di una metropoli fragile e nevrotica: forse l'unico modo per raccontare il passaggio da una cultura politica arretrata a una modernità che ci appare ancora più brutale.