Massimo Zamboni
Questa collezione di apologhi narrativi – favolette a sfondo morale dove il narratore è osservatore silenzioso dell’esistere, traendone una conclusione – nasce da una serie di appuntamenti fortuiti o ricercati con i protagonisti di una invasione sempre più consistente. Incontri con uccelli, mammiferi, insetti, pesci, anfibi, rettili, arrivati clandestinamente nella penisola italiana nascosti nelle pieghe degli scambi commerciali, in fuga dalle guerre degli uomini, in marcia, in volo, strisciando, nuotando, approfittando dell’abbandono delle aree naturali: come il parrocchetto, la rana toro, l’ostrica portoghese, la zanzara tigre, il pesce siluro, la nutria, assieme a un’infinita varietà di invertebrati che l’autore è andato a conoscere nei luoghi della loro nuova residenza. Oppure osservando il riassestarsi di animali di ritorno in paesaggi che sono sempre stati loro, così come sta accadendo al lupo, alla cicogna, al colombaccio. Sperimentandosi infine in escursioni sulle tracce di una suggestione, nei luoghi di un sentito dire che riguarda il castoro, lo sciacallo, il cane procione. Organismi definiti alloctoni, dal greco allos (altro) e chthon (suolo): provenienti da altre terre. Intrusi, dal latino intrudere: inseriti con la forza in un contesto estraneo. Cittadini del mondo globalizzato, capaci di accaparrarsi nicchie ecologiche sempre più estese sottraendole alle popolazioni autoctone che si trovano impreparate alla competizione. Visitatori occasionali divenuti stanziali che hanno trovato nel clima e nelle caratteristiche del nostro territorio una dimora confortevole lontana dalle aree di origine, in un movimento di massa che sfugge all’occhio collettivo, disponibile ad accorgersene soltanto quando diventa evidenza o nocività conclamata. Eppure, data la loro capacità di esaminare l’uomo con occhi liberi da costrizioni, completamente irriconoscenti, potremmo approfittare della loro presenza per percepire valutazioni inaspettate del nostro mondo di umani. Ci interrogano sul senso di residenza, sul carattere legittimo della nostra identità, sulla somiglianza che sperimentiamo verso le terre che ci ospitano. Senza limitarci a giudicarli utilitaristicamente a seconda dei danni o dei benefici che arrecano, guardiamoli agire come fossero specchio o ombre del nostro vivere: queste moltitudini che perseguono migliori possibilità di vita e di prosperità per sé e per la propria discendenza sono mosse da motivazioni che ci rendono simili. Chiamiamole per quello che sono: creature, che richiedono di essere osservate con la meraviglia della prima volta. E con attenzione: poiché ogni sguardo di selvatico porta in sé un rimprovero taciuto.