Renato Stella
Da più di un decennio un cambiamento radicale ha investito le pratiche e i saperi connessi con la televisione. Al vecchio modello pedagogico e paternalistico si è sostituito un criterio ispiratore che fa della neotelevisione un elemento di continua interazione con la nostra quotidianità. Da "oggetto", il pubblico è divenuto "padrone" del mezzo, nel senso che ne determina in ultima istanza il successo o l'insuccesso, attraverso la sanzione dell'audience e dunque delle quote del mercato pubblicitario. E' una forma di controllo ben strana, però, quella che il popolo generalista degli spettatori esercita attraverso lo zapping. Giacché ciò che gli viene offerto è già sapientemente predisposto, con tecniche assai sofisticate, al fine di suggerire, offrire, determinare significati. La "scienza" della neotelevisione si presenta infatti come un complesso intreccio di competenze pratiche e teoriche, che hanno determinato la formazione di figure professionali alquanto raffinate non solo sul versante della produzione, ma anche su quello dello studio dei comportamenti del pubblico.A fronte di questi fenomeni, la critica della neotelevisione non ha conosciuto uno sviluppo adeguato. Si è infittita in questi ultimi anni l'attenzione nei confronti del prevalere di stili trash nei palinsesti televisivi, tanto che la critica alla televisione si è fatta sempre più esterna e generale, mentre minore è stato il ruolo di una critica della televisione, in grado di discuterne gli orientamenti e le tendenze, a partire dalle sue stesse logiche.Questo libro tenta finalmente una irruzione critica dentro il fortilizio dei nuovi saperi televisivi, attraverso un'analisi concreta della programmazione dei principali network italiani degli anni novanta. Vengono esaminate le trasformazioni che hanno riguardato i programmi tradizionali (tg, varietà, fiction), e le innovazioni prodottesi attraverso generi inediti, nati dalla commistione tra vecchi palinsesti e nuovi stili commerciali (infotainment, talk show, tv-verità). Ne scaturiscono alcune riflessioni generali intorno alla cosiddetta "dittatura dell'audience", e alle questioni etiche che l'uso sempre più disinvolto di "sondaggi" e "confessioni" continuamente propone.