Mattia Conti
«Mattia Conti sceglie due ambientazioni ardue e rischiose: la Lecco contadina di fine Ottocento, inestricabilmente connessa per il lettore alla memoria manzoniana, e il manicomio che, confondendo follia e realtà, è lo specchio stesso della letteratura. Eppure nessuno di questi luoghi appare artificioso.» - Chiara Fenoglio, La Lettura - Corriere della Sera
«La spaventevole realtà manicomiale è trasformata in una sorta di fiaba nera, in un teatro dei burattini virato sul grottesco, dai colori forti, in cui prevalgono le tinte invernali della pioggia, del fango e della neve.» - Ernesto Ferrero, Tuttolibri - La Stampa
Quando Ranocchia viene ripescato dall'acqua gelida del fiume, più morto che vivo, ciò che il paese sospettava da tempo diventa certezza: è impazzito. Già non è mai stato molto brillante, con il suo fare svagato e il fisico gracile, inabile al lavoro nei campi. Da quando poi se n'è andato di casa per calcare le assi del palcoscenico sotto l'egida di quel cialtrone di Baldo Bandini, capocomico e vagabondo... Inevitabile che la sua mente, già debole, cedesse. Il ragazzo viene internato nel manicomio di Como e tutti pensano di aver risolto il problema, senza considerare che nello stesso istituto è entrata da pochi mesi anche Bianca, la Maestrina, la ragazza che ha insegnato a Ranocchia a leggere, amare e soffrire. E nessuno, fuori, sa che quel presunto rifugio è un luogo molto pericoloso, tra gli intrighi dell'infermiera Clementina e del suo assistente nano e le «cure» del Dottor Lucio, deciso a incidere il suo nome nella storia della scienza a costo di passare sul cadavere dei pazienti. La parola d'ordine per Ranocchia diventa: fuggire. Ma non da solo.