Nicola Casaburi
Come davanti ad una famosa pizzeria napoletana, c'è sempre ressa alla porta della parola dignità. Si tratti di magnificare la gustosità del "fritto misto" o la prelibatezza della "bottarga" o l'eleganza dell'"abito ladino" o il decoro del "mercato rionale" di Messina o la rispettabilità di piante e di animali, la parola chiamata a illustrare tutto questo bene è sempre la stessa: dignità. È polvere magica, per la cronaca cittadina, quella che emana dal suono e dal segno di questa parola, buona a trascinare nel prestigio e nell'eccellenza qualunque oggetto di pensiero si voglia abbinare ad essa. E in questa manipolazione la parola rischia di smarrire il suo proprio, più autentico significato; rischia di assumere una funzione tutta ed esclusivamente cosmetica, tipograficamente non dissimile da quella del carattere in grassetto o del punto esclamativo. Di fronte ad un tale scempio semantico e culturale non resta che mettersi a ripercorrere la storia di questa parola, la storia di un lungo cammino per vie, viottoli e sentieri sulle terre della filosofia, della politica, della letteratura, della religione, del diritto. Dignità ieri, dignità oggi. Ieri, a cingere di alloro gli eroi e i sapienti delle polis greche. Oggi, dote inviolabile, ma anche mandato etico imperativo, assegnati ad ogni essere umano... Prefazione di Gianfranco Bettin.