Viola Paolo
Tutta la vicenda francese, negli anni a cavallo dell'Ottantanove, è caratterizzata dal contrapporsi di due atteggiamenti profondamente diversi di fronte alla politica: il primo adotta un punto di vista astratto, di vertice, centralistico; il secondo sceglie di partire dal concreto, dalle realtà locali, dalla periferia. Due modi di sostenere e avversare le riforme; due modi di entrare in rivoluzione; due modi di combatterla, di difenderla o di perderla. Se il centralismo è stato descritto da Tocqueville in avanti come il vero demone del pensiero politico francese, non è possibile ignorare tutta quella sequenza di posizioni anticentralistiche - dal legittimismo particolarista, al costituzionalismo monarchico provincialista, al federalismo repubblicano, al localismo cordigliero o ultrarivoluzionario - che hanno segnato, negli anni a cavallo della Rivoluzione, l'altro versante, sconfitto e perciò dimenticato, della cultura e della pratica politica.In effetti, l'atteggiamento anticentralistico attraversa gli opposti campi, e si insinua nelle file dei più accaniti conservatori come dei rivoluzionari più radicali: esso sta a testimoniare il disfacimento irreversibile dell'antico regime, e più in generale il fallimento complessivo della politica, intesa come mediazione tra gli interessi e la ricerca della soluzione possibile. La risposta è l'antipolitica, la ricerca delle aggregazioni «naturali», il tentativo di rifondare la legittimità, il bisogno di esprimere direttamente la società civile.L'indagine sulla politica nelle fasi di disfacimento dei regimi stimola mille possibili analogie con la situazione presente. Ma l'autore si tiene ancorato al più rigoroso spirito di ricostruzione storica; e la Rivoluzione francese offre - insospettabilmente - un terreno fertilissimo per nuove, originali ricerche e prospettive d'analisi.