Rocco Marzulli
«La composizione umana stratificata del lager porta con sé la confusione delle lingue», scriveva Primo Levi, una Babele che riveste un ruolo centrale nei ricordi dei deportati italiani: spesso compaiono la difficoltà di capire gli ordini, il divieto di usare una lingua diversa dal tedesco, il ricordo ossessivo di parole che continuano a tornare alla mente, anche a tanti anni di distanza. Proprio per la centralità di questo elemento, per comprendere appieno i campi di concentramento nazisti, diventa indispensabile conoscere la lingua che essi hanno prodotto. Da una parte c'è la lingua tedesca dei sorveglianti, ridotta a un frasario che riassume comandi, gerarchie e luoghi e che si avvale di un linguaggio in codice che occulta ciò che sta avvenendo; dall'altra c'è la lingua franca dei prigionieri, costituita da lingue diverse tra cui tedesco, russo, polacco, francese, spagnolo e italiano. A Mauthausen, Auschwitz, Ravensbriick, Dachau e in altri campi, la lingua del lager, Lagersprache, è per le deportate e i deportati un mezzo imprescindibile per comprendere gli ordini espressi solo in tedesco, per comunicare tra loro, per interpretare la realtà che li circonda, per evitare i pericoli, e per resistere. Colmando un vuoto della ricerca linguistica, Rocco Marzulli ha elaborato un repertorio della lingua del lager, fondato su un'ampia ricognizione delle memorie dei deportati italiani, non solo per offrire uno strumento per leggere e interpretare le loro testimonianze scritte e orali, ma anche per introdurre il lettore meno esperto nella realtà quotidiana dei campi di concentramento nazisti.