Luiz Ruffato
Narrato in prima persona, con i tratti vividi della scrittura cinematografica e le atmosfere malinconiche della stagione ormai al tramonto, "La tarda estate" ci porta tra le strade di una cittadina brasiliana che si fa microcosmo di un'intera società.
«Testo rarefatto, dolente, giocato sui fili del ricordo, o della sua impossibilità, come spesso accade nell'opera rufatiana. Essendo, di nuovo, un romanzo breve e controllato, il lettore italiano forse non scoprirà ancora di essere davanti al più grande autore brasiliano ma certo si sorprenderà per la profondità di uno sguardo che, in un'unico piano sequenza lungo sei giorni, ci mostra un Brasile che non ha nulla, ma davvero nulla a che vedere con quello mediatico» - Vanni Santoni, la Lettura
Un autobus arriva all'autostazione di Cataguases, Brasile. È un martedì mattina di marzo, sul finire dell'estate australe. A bordo, un uomo che torna nella sua città dopo venti anni di assenza. Così inizia "La tarda estate", un lungo piano sequenza, sei giorni nella vita di un uomo immerso in un presente irriconoscibile e alla ricerca di un passato lontano e sfuggevole. Cataguases, la sua città, è una terra straniera e Oséias è spaesato, i suoi ricordi sempre più sfocati, i volti che dovrebbero essergli familiari sono distanti: ognuno è un pianeta errante, ognuno è solo, invisibile agli altri. Nella sua peregrinazione, Oséias posa sulla città e sulle persone che incontra il suo sguardo da commesso viaggiatore, da impiegato della piccola borghesia con una vita passata in viaggio, in alberghi anonimi, nelle stazioni di provincia a immaginare le vite altrui. Narrato in prima persona, con i tratti vividi della scrittura cinematografica e le atmosfere malinconiche della stagione ormai al tramonto, "La tarda estate" ci porta tra le strade di una cittadina brasiliana che si fa microcosmo di un'intera società.