Marta Franceschini
Dalla miseria del suo villaggio, dove ha cominciato a lavorare dall'infanzia raccogliendo tabacco nelle piantagioni Agafia, si sottopone a un lavoro massacrante che la porta in una Siberia senza legge e senza dignità, su treni che masticano gelo e violenza. Ma questo è solo l'inizio: abusi, pestaggi e tradimenti l'attendono. Una fuga disperante, che la porta a piedi scalzi su frontiere spinate, per chilometri di attese, di inganni, di sfinimenti. E alla fine, in un'Italia che raccoglie e schiavizza, distogliendo per pudore lo sguardo. Agafia impara, insieme alla lingua, l'umiliazione di chi vive senza diritti e senza protezione. La vita racchiusa in una valigia. Prima a Roma e poi a Bologna, passa le notti nelle stazioni, e i giorni a consumare scarpe in cerca di un lavoro, un rifugio, un miraggio per cui sarà disposta anche a vendersi. E quando diventa "badante", scopre di essere finita nell'ennesima trappola, fatta di condizioni disumane. Ma sul fondo del baratro scopre anche l'amore, infelice e sventurato come tutta la sua esistenza, fratellanza di ferite e specchio di dannazione, ma capace di nutrire l'anima.