Claudio Pellecchia
LeBron James e Stephen Curry sono i due volti del basket contemporaneo. Leader incontrastati delle rispettive squadre, icone riconosciute e riconoscibili della Nba, la lega globale per eccellenza. Soprattutto nelle ultime quattro stagioni, quando la conquista del titolo è sembrata passare unicamente da questo appassionante confronto che ha rappresentato tutto il vecchio e tutto il nuovo che è insito nel concetto stesso di rivalità. Una rivalità che hanno spesso provato a ridimensionare ma che, con il tempo, hanno dovuto imparare ad accettare e gestire. Perché mai due atleti sono stati così diversi e, allo stesso tempo, così uguali: dall'ospedale di Akron che ha dato i natali a entrambi alle sfide sul palcoscenico delle Finals, le strade dei due giocatori destinati a caratterizzare quest'epoca si sono intrecciate, in maniera più o meno diretta, molto più di quanto anche loro stessi avrebbero immaginato. Fino a scoprirsi addirittura dalla stessa parte, in quel ruolo di portavoce privilegiati di una comunità che fatica a far sentire la propria voce e che vede in loro qualcosa di più di semplici idoli sportivi. Perché 'real recognize real'. In campo e fuori.