Margherita Nani
Proposto al Premio Strega 2020 da Ilaria Catastini.
È il 1955 quando a Candido Godoi, nel cuore del Brasile, arriva un tedesco in cerca di una stanza in affitto. La famiglia Souza lo accoglie e Pia, la figlia adolescente, è fin da subito attratta dal fascino di quello straniero riservato e imperscrutabile, che a sua volta non potrà rimanere indifferente alla vitalità e all'innocente purezza della ragazza. Nessuno ha il minimo sospetto che l'ospite è in realtà il medico nazista Josef Mengele. In una serie di flashback e in un alternarsi di realtà storica e finzione letteraria, emerge il ritratto di un uomo la cui malvagità impedisce qualsiasi tentativo di comprensione. E Pia riuscirà a cogliere forse soltanto un frammento della complessa natura del dottor Mengele. In passato aveva tentato di farlo Irene, la moglie tanto innamorata quanto respinta dall'uomo in cui aveva inutilmente cercato tracce di un'anima. E poi Teresa, la ragazza ebrea destinata per anni ad affiancare la morte in persona nel campo di sterminio di Auschwitz. Cosa ha rivelato di sé Josef Mengele a ciascuna di loro? In questa biografia romanzata, l'ospite di Candido Godoi non troverà la giusta punizione, ma nemmeno quella pace tanto a lungo inseguita.
Proposto al Premio Strega 2020 da Ilaria Catastini: «Questo romanzo è su Josef Mengele, l'angelo della Morte, il medico nazista che ha condotto nel campo di concentramento di Auschwitz gli esperimenti più efferati su uomini, donne, bambini, specialmente sui gemelli. Trapianti di organi, espianti e innesti di arti, mutilazioni, prove di reazione a sostanze chimiche, a fonti di calore, prove di resistenza al dolore. È la sua storia, prima dell'arrivo al campo, durante la permanenza e dopo la sua fuga in Sudamerica. Margherita Nani, classe 2000, inizia a raccogliere materiale su Mengele a 16 anni. L'anno scorso, a 19 anni, vede pubblicato il suo romanzo sul "suo Mengele". Sì perché al di là del cliché a cui ci hanno abituato anni di letture e film sullo spietato personaggio, la sorpresa che rivela Margherita nel suo libro è la capacità di guardare dentro l'uomo. Un uomo incapace di provare alcuna emozione, un uomo privo completamente del senso dell'altro, freddo di fronte alla moglie, che non ama, interessato al figlio solo perché "opera sua", vittima di un'anoressia sentimentale dovuta a un terribile rapporto col padre e con la madre, che scopre solo molto tardi dentro di sé qualcosa di simile a un sentimento. Solo allora si apre un varco in lui e affiora alla sua coscienza l'orrore dei crimini commessi. Margherita scrive un romanzo temerario ma che sta in piedi e si fa leggere con grande piacere, con un bell'italiano, fluido, una scrittura tonda, un registro che corre su due binari, quello freddo e secco della cronaca degli esperimenti, della vita nel campo, e quello lento e caldo e ricco di pause, di dettagli, di descrizioni della vita in Sudamerica dopo la fuga. C'è ritmo, delicatezza. Sono rimasta molto colpita dallo sforzo di questa giovanissima scrittrice su un terreno così complesso e scivoloso, dal punto di vista storico, politico, psicologico. L'opera merita di concorrere a mio parere perché è ben scritta e con i giusti ritmi, ha delle buone lenti d'ingrandimento sui personaggi e sugli stati d'animo, tradisce una ricca ricerca storica e bibliografica e ha una utilità sociale, storica e politica: c'è sempre più bisogno di sostenere la Memoria di quanto accaduto, perché è più facile immaginare che certe aberrazioni della Storia non siano mai accadute, piuttosto che fermarsi un attimo, entrarci dentro, cercare di capire, farsi domande.»