Noi speriamo che ce la caviamo

Aprile 1947. Giuseppe Marotta avvicina una donna ai Quartieri Spagnoli, e con fare serio le domanda: «Potrebbe procurarmi una portaerei?». La donna, all’insolita richiesta, non si scompone. Dopo qualche attimo di riflessione, e assicuratasi che nessuno l’ascolti, sussurra allo scrittore: «Passate domani mattina, ora è troppo tardi». Ecco, questo esempio, citato da Marcello D’Orta nella prefazione del libro, è un classico esempio dell’«arte di arrangiarsi napoletana». Ma che cos’è l’arte di arrangiarsi? È la capacità di inventarsi giorno per giorno un mestiere, capacità nella quale confluiscono fantasia, ironia, psicologia (la conoscenza del comportamento umano è, infatti, fondamentale in certe invenzioni), teatralità del gesto (che in qualche caso diventa sceneggiata), eloquio. Questa capacità affonda le sue radici nella filosofia di un popolo intero; è l’atteggiamento del napoletano verso la vita, atteggiamento fatto di pazienza (quella che Marotta considerava l’oro di Napoli), limite nel desiderio di cose materiali, fiducia nel soccorso dei santi, rinuncia al superfluo, sopportazione delle avversità, capacità di adattarsi alle situazioni. Dario e Sergio Assisi, con l’aiuto di Marcello D’Orta, hanno compilato un elenco di mestieri (veri e inventati) curiosi, strampalati, «impossibili». Accanto a quelli più «tradizionali», come lo iettatore di professione, la stiratrice di giornali, il pazzariello, il correntista, l’arriffatore, il sapunaro, il muzzunaro, ce ne sono molti altri, più recenti e creativi, figli di questi tempi di crisi come: assistente gommista, poeta a richiesta, accompagnatore ritiro pensione, addetto prenotazione posto auto a richiesta, prenota pizza, fitta abiti per luoghi sacri, ingelositore per mariti disattenti, attenditore in seconda fila, fitta giornali, venditore giornali per coppiette in auto, venditore bare usate, ritrattista di animali, noleggiatore di colombe per matrimoni, fitta cani antifurto.